Terremoto. I ragazzi dell’Appennino
Negli Appennini, cuore e spina dorsale dell’Italia, osso e muscoli sfiancati e potenti del nostro Paese, con la fine d’agosto, con le prime piogge, già si intravede l’autunno. L’inverno arriva presto ad Amatrice, sui monti Sibillini, nella vallata del Tronto, nelle montagne delle Marche. Le terre del terremoto. È passato un anno dalla prima scossa. Tre e trentasei del 24 di agosto. La notte in cui si moriva ad Amatrice, ad Arquata del Tronto, a Pescara del Tronto, nei paesi dell’Appennino. Il nostro viaggio mediterraneo, in questa fine di estate, deve risalire le strade di queste terre, vicine e lontane dal mare. Vi eravamo stati mesi fa, alla fine dell’inverno.
Chiamo Rita, 64 anni, nei monti di Amatrice: «Sono andati via tutti. Non c’è più nessuno, le macerie sono ancora lì. L’emergenza è ora e siamo soli».
Chiamo Andrea, vent’anni, ad Arquata: «Siamo più rassegnati che arrabbiati. Ma torneremo al paese. Ricominceremo. Un futuro migliore».
Chiamo Massimo, 54 anni, fra Massimo, che ha vissuto l’inverno di Santa Giusta: «C’è sconforto, la paura di un altro inverno duro». Molti se ne andranno. Anche i frati minori chiuderanno il loro «convento di plastica». A Santangelo rimarranno i cappuccini.
Io ricordo la bandiera italiana sul bar, appena riaperto, con ostinazione, da quattro ragazzi di Amatrice: «Non molliamo», vi era scritto sopra. E sulla maglietta in un altro bar ad Arquata: «Il coraggio non trema». Gli uomini e le donne dell’Appennino sono forti. Ancora forti, come sempre lo sono stati. Ho conosciuto il legame dei ragazzi, dei giovani a questa terra.
Guardate questa foto: sono Agnese e Giorgia, studiano a L’Aquila, la loro famiglia, allevatori di Accumoli, non ha abbandonato la montagna. C’erano gli animali, dovevano essere protetti nell’inverno, a primavera sono nati i vitelli: «Ci hanno dato speranza», mi scrisse ad aprile Agnese. Le due sorelle studieranno ancora lontano da casa, forse avranno un lavoro lontano dal paese, ogni finesettimana sono tornate al loro container, poi ci sarà una casetta (avevano promesso le casette in pochi mesi, le hanno attese, è passato un anno!), alla fine una nuova casa. I ragazzi di Arquata dicono: «Ci gonfia il petto a pensare al nostro paese». Andate a leggere cosa scrivono delle loro montagne, in questa pagina. Alla fine ripetono le parole del poeta libanese Khalil Gibran: «Oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta». Mi scopro a credere che i ragazzi di queste terre sapranno andare incontro all’alba, che sorge oltre l’orizzonte delle montagne.