L’autore, sacerdote nato a Praga nel 1948, esponente della Chiesa sotterranea, con l’episodio evangelico di Zaccheo intende parlare al credente e non. A quei «cercatori» in viaggio, che si lasciano attirare dalle domande. Invitando tutti a fermarsi sulla soglia del mistero, sfidando l’apparente silenzio di Dio ma anche la routine di una fede poco entusiasta: occorre aver pazienza con Dio, che ci viene incontro nell’attesa, perché lui per primo è paziente con noi.
Due premesse. La prima. Molti di noi se lo ricordano semplicemente come don Tonino: un «uomo di Dio» che ha lasciato un segno profondo nella nostra fede e spiritualità, con la sua testimonianza di vita e con i suoi scritti, vescovo di Molfetta (BA), dove è morto nel 1993.
«C’è voluto tempo, molto tempo, perché i miei occhi riuscissero ad aprirsi, ammesso che oggi siano veramente aperti. È terribile constatare come, in mezzo a tante sofferenze, la cura del mantenimento dell’autorità e dell’ordine sociale ci impedisse di scoprire e denunciare le ingiustizie. Stavamo là a predicare la pazienza, l’obbedienza, l’accettazione delle sofferenze, in unione alle sofferenze di Cristo. Grandi virtù, senza dubbio, ma in quel contesto facevamo il gioco dei dominatori».
È possibile studiare sociologicamente la fede? Qualcuno è restio a usare il termine «fede», in quanto essa apparterrebbe a un’interiorità sfuggente alle analisi. Altri, tra cui l’autore, non ha lo stesso «pudore professionale»: senza debordare dalle proprie competenze, questi ritiene che sia possibile analizzare empiricamente la fede, certo non nella sua natura interiore o divina, ma come «atteggiamento umano» che è sorretto da motivazioni, può modificarsi nel tempo, può orientare la vita in vari modi, si esprime attraverso scelte e azioni.