Due premesse. La prima. Molti di noi se lo ricordano semplicemente come don Tonino: un «uomo di Dio» che ha lasciato un segno profondo nella nostra fede e spiritualità, con la sua testimonianza di vita e con i suoi scritti, vescovo di Molfetta (BA), dove è morto nel 1993.
«C’è voluto tempo, molto tempo, perché i miei occhi riuscissero ad aprirsi, ammesso che oggi siano veramente aperti. È terribile constatare come, in mezzo a tante sofferenze, la cura del mantenimento dell’autorità e dell’ordine sociale ci impedisse di scoprire e denunciare le ingiustizie. Stavamo là a predicare la pazienza, l’obbedienza, l’accettazione delle sofferenze, in unione alle sofferenze di Cristo. Grandi virtù, senza dubbio, ma in quel contesto facevamo il gioco dei dominatori».
È possibile studiare sociologicamente la fede? Qualcuno è restio a usare il termine «fede», in quanto essa apparterrebbe a un’interiorità sfuggente alle analisi. Altri, tra cui l’autore, non ha lo stesso «pudore professionale»: senza debordare dalle proprie competenze, questi ritiene che sia possibile analizzare empiricamente la fede, certo non nella sua natura interiore o divina, ma come «atteggiamento umano» che è sorretto da motivazioni, può modificarsi nel tempo, può orientare la vita in vari modi, si esprime attraverso scelte e azioni.
Mai ci saremmo aspettati di essere aggrediti dal «nemico invisibile» che sta spaventando il mondo, il Covid-19. Stiamo soffrendo un «impoverimento» da tante cose che ora appaiono per quello che erano: inutili.