All’ombra dei giganti
Qual è il colmo per un burattino nato da un tronco? Morire impiccato a un albero! Se poi l’albero in questione è la cosiddetta «quercia grande» e il nostro protagonista – essendo fatto di legno durissimo – appeso con un cappio al collo, «dopo tre ore (…) sgambettava più che mai», l’ironia è servita. Era il 1883 quando Carlo Collodi ambientava la scena dell’impiccagione di Pinocchio (da Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino) all’ombra di un gigante verde di oltre 600 anni. Circa un secolo e mezzo dopo, la «roverella» in questione a cui lo scrittore si sarebbe ispirato gode ancora di buona salute, immersa nella campagna toscana di Gragnano (comune di Capannori, in provincia di Lucca). Quest’opera d’arte della natura (anche conosciuta come «Quercia delle streghe») scampata all’occupazione nazista – era stata scelta per farne legna da ardere –, alla minaccia di un fulmine e a una malattia che aveva colpito le sue radici, è solo una rappresentante dei 4.288 alberi monumentali sparsi per l’Italia e riconosciuti ufficialmente a partire dalla legge n. 10 del 2013.
Va all’articolo 7 di questa normativa, infatti, il merito di aver stabilito una definizione univoca del termine «albero monumentale» (in precedenza erano stati fatti diversi tentativi di regolamentazione e censimento, ma sempre a livello locale), indicando i requisiti necessari per ottenere il titolo. Altro vantaggio apportato dalla legge: aver posto le basi per la tutela (con sanzioni fino a 100 mila euro) e il monitoraggio di questi «beni paesaggistici» tramite un elenco nazionale, creato nel 2017 e oggi gestito dal ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. «A 11 anni dall’entrata in vigore della legge n. 10, oggi gli alberi riconosciuti monumentali in Italia sono più che raddoppiati. E con loro anche l’interesse e il rispetto dei cittadini nei loro confronti – conferma Alessandro Cerofolini, direttore degli alberi monumentali e dei boschi vetusti d’Italia presso la Direzione generale delle foreste del MASAF (qui sotto in una breve intervista) –. Ogni anno, in sinergia con i comuni e le regioni, scoviamo nuovi alberi o gruppi di alberi che si distinguono per maestosità, età o dimensioni, rarità botanica, pregi naturalistici, paesaggistici, monumentali, storici o culturali, e li iscriviamo in elenco. A oggi contiamo 4.288 alberi monumentali appartenenti a 180 specie arboree diverse, di cui 48 conifere, 125 latifoglie, 7 specie di palme. Tra i più diffusi, la roverella, il faggio, il platano, il leccio, il castagno e il larice. Da Nord a Sud, questi “patriarchi verdi” sono radicati nel territorio di 1.568 comuni italiani: se Napoli, Caserta, Priverno (in provincia di Latina), Palermo e Roma sono i comuni che ne contano di più entro i loro confini, il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Lombardia, il Piemonte e la Campania figurano sul podio delle regioni con più alto numero di alberi monumentali riconosciuti» spiega ancora il dirigente, autore di Le meraviglie dei boschi italiani. Guida sentimentale al patrimonio forestale più bello d’Europa (Altreconomia).
Una comunità verde in progressivo aumento, dunque, nonostante le perdite più o meno fisiologiche, a cominciare da quella dell’Avez del prinzep, l’abete bianco più alto d’Europa, caduto nel 2017 durante una tempesta. «Negli ultimi due anni – con 92 nuovi alberi monumentali morti – abbiamo rilevato un’accelerazione nei “decessi”, in parte dovuta a eventi climatici quali fulmini, siccità, piogge intense – aggiunge Cerofolini, che ha appena concluso la stesura di un nuovo libro sulle foreste, sulle montagne e sulla fauna selvatica dal titolo Il Cuore verde d’Italia, di prossima pubblicazione –. Ad aumentare sono state anche le richieste di pareri e interventi da parte delle amministrazioni comunali su alberi in sofferenza. Ciò detto, però, non abbiamo studi scientifici che testimonino la correlazione tra global warming e stato di salute degli alberi monumentali italiani».
A questo punto potrebbe venirci in mente l’ippocastano sotto casa, tranciato da un fulmine durante l’ultima perturbazione. O l’ennesimo abete rosso caduto sotto i colpi della tempesta Vaia nel 2018 e lasciato a morire, alla mercé del bostrico (coleottero infestante soprannominato «il covid delle foreste»). Che cosa rende tanto speciali gli alberi monumentali rispetto a tutti gli altri che abitano la Terra? Ha senso investire denaro e risorse per proteggere una minoranza che ha le ore contate? «La tendenza attuale di indicare l’albero vetusto o maestoso come un vero e proprio monumento naturale deriva dalla consuetudine atavica di considerarlo alla stregua di un essere superiore, custode di saggezza, fonte di vita» scrive Angela Farina nella premessa del libro Alberi monumentali d’Italia. 100 esempi di monumentalità ai sensi della legge 14 gennaio 2013, n.10.
A questi giganti verdi, continua l’esperta, va riconosciuta una «funzione di collegamento intergenerazionale» e un «valore patrimoniale, come di beni dal grande pregio culturale, storico e identitario, al pari dei monumenti ad opera dell’uomo». Senza scordare il fondamentale «ruolo da essi svolto nei confronti della conservazione della biodiversità», «il loro contributo nell’assorbimento del carbonio» e, infine, il loro compito di testimoni. «Vere e proprie eredità biologiche, i vecchi alberi sono gli esseri che più detengono elementi utili alla ricostruzione dei climi del passato e alla comprensione dell’evoluzione o della regressione dei fattori ecologici dei luoghi in cui ancora vivono».
Proprio questo mix di bellezza, storia e natura che contraddistingue «gli scrigni più importanti del nostro patrimonio forestale» è la molla alla base del lavoro svolto dal MASAF. «Negli ultimi anni ci siamo attivati per distribuire pannelli informativi da esporre a fianco di ogni patriarca verde, magari insieme a staccionate e panchine – precisa Alessandro Cerofolini –. Non tutti i comuni, però, hanno colto il nostro invito. Segno che c’è ancora tanto da lavorare sulla consapevolezza e la sensibilità delle persone». Da qui la scelta del Ministero di investire in spot televisivi, brochure, ma anche in un concorso fotografico… S’intitola «Radici» il contest inaugurato lo scorso 21 marzo, in occasione della Giornata internazionale delle foreste, che invita a spedire via email a didattica.forestale@masaf.gov.it entro il 21 settembre foto e relativi aneddoti di potenziali alberi monumentali, in attesa della premiazione prevista il 21 novembre (Giornata nazionale degli alberi).
«Siamo sempre a caccia di nuovi “candidati” da inserire in elenco – conferma Cerofolini –. In questo senso, il singolo cittadino può fare molto, segnalando le nuove leve al proprio comune, ma anche sorvegliando chi il titolo “monumentale” l’ha già ottenuto e segnalando al Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari dei Carabinieri eventuali abusi o danneggiamenti». Proprio come una sentinella sul territorio. Se la cosa vi ispira e siete già pronti a iniziare questa nuova avventura, non vi resta che consultare la mappa degli alberi monumentali su Google Maps – condita di dati e aneddoti – (trovate il link sul sito www.politicheagricole.it) e partire!
Da Nord a Sud
Non avete resistito e siete già corsi a prendere lo smartphone per individuare l’albero monumentale più vicino a casa? Se, però, intendete spostarvi dal vostro comune e magari intraprendere qualche viaggio alla scoperta dei patriarchi verdi, forse questo ultimo paragrafo può tornarvi utile. Perché orientarsi tra 4.288 location non è scontato. E porre dei punti di riferimento lungo la strada è il modo migliore per non perderla e assaporarla! Visto che il «Messaggero di sant’Antonio» ha sede all’ombra delle cupole della Basilica del Santo, partiamo proprio da Padova e, in specie, dalla grande magnolia da cui prende il nome il cosiddetto Chiostro della Magnolia. Con i suoi oltre due secoli di età, i 25 metri di altezza e i 440 cm di circonferenza, questa pianta sempreverde è indissolubilmente legata, nell’immaginario dei fedeli, alla figura del Santo predicatore.
Poche centinaia di metri più a sud, un altro monumento verde, ingabbiato in una serra ottagonale su misura, attira frotte di visitatori. È la palma di San Pietro, anche conosciuta come palma di Goethe, per via dell’ispirazione che questa ultra quadricentenaria – non a caso è la pianta più antica dell’Orto botanico patavino – offrì allo scrittore tedesco durante il suo viaggio in Italia, nel 1786, e successivamente, nella stesura dei suoi saggi sulla metamorfosi delle piante. Ci spostiamo a ovest fino a Caprino Veronese (VR) per incontrare il platano dei cento bersaglieri. Nel 1937 si narra abbia protetto da un temporale una compagnia di soldati, durante una manovra dell’esercito italiano. Le sue misure? 450 (anni) per 18 (metri di altezza) per 11 (metri di circonferenza). Insomma, un modello nato! Non a caso è uno dei platani più vecchi d’Italia…
Risaliamo l’autostrada del Brennero fino a Bolzano, e deviamo verso la Val d’Ultimo dove, a 1.440 metri di altitudine, nella frazione di Santa Gertrude, si possono ammirare i tronchi nodosi e le profonde cavità dei tre «larici millenari». Se nel 1930, a seguito della caduta di un quarto larice, si era ipotizzato che questi giganti radicati al confine col Parco nazionale dello Stelvio avessero oltre 2.000 anni, dal 2004 nuove misurazioni hanno aggiustato il tiro a circa 800 anni.
Il nostro viaggio prosegue con uno scalo a Monza dove, nei giardini della Villa Reale, ci attende la Quercia rossa portata dall’America agli inizi dell’Ottocento dal viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais, curatore del parco per volontà di Napoleone Bonaparte. Dalla Lombardia raggiungiamo il Piemonte per vedere l’albero monumentale più alto d’Italia: il platano del parco del Castello di Agliè (TO). Ben 55 metri di slancio! Giusto un metro in più della sequoia del castello di Reggello (FI). Visitati l’olmo montano di Case Mordini, in località Tagliole, sulla via del lago Santo, nel Comune di Pievepelago (MO), e il cipresso di Verucchio (RN), che si dice sia stato piantato oltre 800 anni fa nel chiostro di un convento fondato da san Francesco, approdiamo a San Quirico d’Orcia (SI), dove ci attende il celebre gruppo di cipressi piantati sul terreno argilloso in località Triboli, lungo la strada statale Cassia, a mo’ di riparo e ristoro per gli uccelli.
Sempre in provincia di Siena, facciamo una sosta nella campagna di Pienza, per ammirare quella che in toscano è chiamata quercia delle checche (cioè quercia delle gazze): quasi 300 anni e 19 metri di altezza per questo esemplare di Quercus petraea che dal 2017 ha ottenuto il riconoscimento MiBACT di primo «monumento verde d’Italia». Ha compiuto quasi il doppio degli anni il leccio dei cappuccini a Montevarchi (AR), che pare sia stato piantato nei pressi di un convento per commemorare il passaggio di san Francesco (la pianta viene citata in un documento stilato dai frati nel XVI secolo). Scendiamo in Lazio per i platani di Villa Borghese, piantati nel XVII secolo nel cuore della Capitale per volontà del cardinale Scipione Caffarelli Borghese.
Poi facciamo rotta su Cepparo (Rieti), alla volta del faggio dalla chioma a ombrello, sotto il quale, secondo la tradizione, avrebbe trovato riparo da un temporale il Poverello d’Assisi. Un salto in Calabria al cospetto dell’eucalipto rosso di Torrenova a Cirò Marina (KR), e poi giù in Sicilia, dove ci attende uno degli alberi monumentali più vecchi d’Italia: il castagno di Sant’Alfio (CT), noto come «castagno dei cento cavalli» perché, secondo la leggenda, in un imprecisato passato, con le sue ampie fronde, avrebbe protetto da un temporale cento cavalieri con i loro destrieri. Questa latifoglia che vanta circa 4 mila anni di età si contende il primato di «patriarca più vecchio d’Italia» con l’olivastro sardo di Luras (OT). «Tra i grandi ulivastri del Carana è molto notevole quello che si vede a 50 passi dalla chiesa di San Bartolomeo presso le rovine dell’antica terra di Carana – scrive nel XX secolo Goffredo Casalis sul Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna –. Otto uomini non cingerebbero il suo tronco, sebbene distendessero a tutta la misura le loro braccia; e tanto sono frondosi i suoi rami, che non facilmente vi penetri la pioggia». Ancora oggi questo gigante che misura 20 metri di circonferenza alla base, è soprannominato affettuosamente dai locali s’ozzastru, cioè l’olivastro. Come fosse uno di loro, un vecchio saggio da ascoltare e proteggere.
Il nostro itinerario alla scoperta dei patriarchi verdi per ora è finito. Ci rimettiamo in viaggio verso Padova, ripensando al nostro potenziale ruolo di sentinelle. Lungo la strada il ricordo di un luogo visitato qualche anno fa bussa alla mente. «Il castagno di Dante!». Optiamo per una breve deviazione e facciamo rotta a Sant’Anna di Alfaedo (VR) dove, a due passi dal Ponte di Veja (luogo da cui il sommo poeta avrebbe tratto ispirazione per le malebolge del suo Inferno), si erge un maestoso castagno (età stimata: 700 anni). Controlliamo sulla lista di Google Maps e dell’albero non c’è traccia. Ora tocca a noi segnalarlo alle autorità competenti!
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