Lavoro: un bene fondamentale
Il lavoro è un bene fondamentale nella vita umana: come ogni bene va tutelato, soprattutto riconoscendo e promuovendo la dignità e i diritti delle persone che lo esercitano. Proprio in questo senso nasce la festa del 1° maggio, che trova le sue radici in America, dove nel 1867, nello stato dell’Illinois, entra in vigore la legge delle otto ore lavorative giornaliere; purtroppo è legata anche a fatti dolorosi, a una storia di diritti calpestati (si pensi allo sciopero del 1° maggio 1887 a Chicago e ai successivi eventi) e al dramma quotidiano delle morti sul lavoro. Dal 1955 è stata istituita da papa Pio XII la memoria di san Giuseppe lavoratore, proprio il 1° maggio, con l’intenzione che tale ricorrenza diventi «invito alla moderna società per compiere ciò che ancora manca alla pace sociale», cogliendo nell’«umile artigiano di Nazareth» non solo la «dignità del lavoratore del braccio», ma anche «il provvido custode vostro e delle vostre famiglie» (dal discorso di Pio XII in occasione della solennità di san Giuseppe artigiano - domenica 1° maggio 1955).
Come ha sottolineato la Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace nel documento “Il lavoro per la partecipazione e la democrazia”, le attività lavorative non sono semplicemente un fare fine a se stesso, ma sempre un «agire “con” e “per” gli altri». Attraverso il lavoro interagiamo con la realtà, modificandola per produrre beni necessari per vivere e per rendere migliore la nostra esistenza. Il lavoro è una dimensione che crea una connessione tra di noi, anche se spesso ci sono forme di discriminazione e divisione che non permettono di far crescere veramente la nostra umanità. Questo accade spesso quando ci dimentichiamo il fine delle nostre attività e le modalità con cui vengono svolte.
Per quanto riguarda lo scopo: non è solo la realizzazione individuale o il benessere collettivo preso come somma (o media) di quelli di ciascuno, ma è il bene comune che si misura guardando anche alla situazione di chi è più debole e ultimo nella società. Come sostiene il documento citato, riferendosi all’enciclica Fratelli Tutti, è necessario «assicurare “a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze”. Le politiche del lavoro da assumere a ogni livello della pubblica amministrazione devono tener presente che “non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro”(cfr. FT n.162)». Chiaramente questo chiede una presa di coscienza, da parte di ciascuno, della sua corresponsabilità per il buon andamento dell’attività produttiva e per la crescita del Paese. Per quanto riguarda le modalità, il lavoro non è fatto solo individuale, ma mette in relazione, chiede di essere vissuto “con” l’altro. Siamo fatti per la relazione e anche in questa attività non può venir meno l’attenzione e la collaborazione.
Anche Francesco d’Assisi ha sempre promosso il lavoro come attività importante per evitare l’ozio, descritto da lui come “nemico dell’anima” (cfr. Regola Bollata, V, Fonti francescane n. 88). Nel suo Testamento scrive: «Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all'onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l'ozio» (cfr. Fonti Francescane n. 119). Star sempre senza far nulla è pericoloso: non corrisponde alla nostra dignità di persone e fa cadere nell’ozio che spegne la nostra vitalità, mettendoci in balia della nostra volubilità. È necessario, quindi, che si creino le condizioni adeguate affinché ciascuno possa fare la sua parte: ne va della dignità personale e del bene della società intera.
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