Anna e le sue sorelle
È il passato a forgiare il presente. Molto più di quello che pensiamo. E così un progetto, sostenuto da Caritas sant’Antonio in Kenya nel 2023, affonda le sue radici nel 1925, a Washington D.C.. Nei primi anni ’20, una giovane volontaria, Anna Dengel, statunitense di origine austriaca, si trova in missione nel Nord dell’India, l’odierno Pakistan. Assiste impotente alla morte di numerose partorienti e dei loro bambini, perché l’islam non ammette che una donna venga curata da un uomo. Anna sa che in diversi contesti e per diverse ragioni – la povertà, la diseguaglianza, i retaggi culturali – molte donne sono condannate a morte, «perché non c’è nessuno che risponde a un bisogno a cui solo una donna può rispondere».
Non è solo una questione medica, è una questione di giustizia. Per questo, tornata in patria, fonda la prima congregazione cattolica di suore medico-missionarie, le Catholic medical missionaries sisters (MMS). Non è facile né scontato in un contesto culturale in cui le donne sono accettate in campo medico soprattutto come infermiere. È il settembre del 1925. «Ho fatto fuoco e fiamme – spiegherà Anna in seguito – per essere una missionaria con un obiettivo definito. Ero determinata a diventare un medico missionario per fare qualcosa che solo una donna può fare per aiutare altre donne sofferenti. Il dolore che ho visto ha sollecitato in me il sentimento di sorellanza, accendendo il mio entusiasmo giovanile».
Oggi le sorelle – che al tempo iniziarono la missione in quattro – sono 500 e operano in 17 Paesi nel mondo, coadiuvate da altri 100 volontari e volontarie laiche. Quella ricerca di giustizia è arrivata fino a Caritas sant’Antonio nei panni di suor Gaudencia Wanyonyi, referente della congregazione per il Kenya. Dal 2006, le suore hanno un centro medico – Angi’ya Good Shepherd Dispensary – ad Angiya, in zona rurale, nel distretto di Homa Bay, nel Kenya centro-occidentale. Sorto dapprima per curare i sieropositivi, in una delle zone a più alto tasso di infezioni da Hiv, nel tempo è diventato l’unico riferimento medico per la popolazione locale, circa 40 mila persone.
Ben presto, però, le suore toccano con mano che c’è un’emergenza ancora più grave: la mortalità materno-infantile è, a sua volta, una delle più alte del Paese, e da queste parti la morte di una madre mette a rischio la vita di tutti i suoi figli. Provano le sorelle a intervenire adibendo una stanza a reparto maternità, ma il bisogno è troppo grande e le mamme continuano a morire nei loro poveri giacigli, spesso trasmettendo l’Hiv ai neonati.
La richiesta di aiuto arriva in Caritas sant’Antonio nell’autunno del 2023: c’è bisogno di 17 mila euro per costruire un reparto di maternità adiacente al centro sanitario. Il nuovo reparto sarà suddiviso in stanze funzionali: l’accettazione, la sala travaglio, la sala parto, la stanza di osservazione e ripresa, quella per ostetriche e infermiere, i servizi per lavarsi e infine lo spazio a sé stante per il trattamento dei rifiuti e la disinfezione. Un altro mondo. I frati del consiglio di Caritas sant’Antonio approvano subito il progetto. Una volta ricevuta la somma, i lavori ad Angiya procedono celermente, anche grazie allo stile d’intervento delle missionarie mediche, basato sulla comunità: «La gente ha contribuito attivamente alla costruzione del reparto, procurando materiale da costruzione e offrendo manodopera e cibo» racconta suor Gaudencia.
Il 20 febbraio 2024, il reparto apre, accogliendo in sicurezza le prime cinque vite. È una festa. Da quel giorno inizia un nuovo corso per le donne di Angiya: le 4.500 puerpere che in media danno alla luce un bambino in questa zona ogni anno, da ora in poi avranno un’assistenza medica assicurata prima, durante e dopo il parto, una sorveglianza di 24 ore – come richiesto dalle linee guida dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità –, una formazione per la cura dei figli e persino un’assistenza pediatrica. Grazie a questo servizio, le suore stimano che ogni anno circa 8 mila bambini cresceranno sani, accanto alle loro madri.
«Prima della costruzione del reparto, a volte eravamo costrette a far partorire le mamme sul freddo pavimento – scrive suor Gaudencia – e molte donne non venivano da noi per l’assoluta mancanza di privacy. Ma partorire a casa, senza assistenza, era spesso una condanna a morte. Grazie alla vostra donazione siamo testimoni del potere della compassione e questo spinge anche noi suore a proseguire nella nostra missione ad Angiya. Una positività che ha contagiato la popolazione locale, che ora ha visto con i suoi occhi che il cambiamento è possibile. Nulla è più eloquente di un miglioramento vissuto».
Segui il progetto su www.caritasantoniana.org.
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