05 Luglio 2025

Batte ancora il cuore di Srebrenica

Con Silver Frame Film Festival, Ado Hasanovic porta il cinema tra i boschi della Bosnia a trent’anni dall’eccidio di Srebrenica: «Abbiamo bisogno di presente e di futuro».

Silver Frame Festival

Bekir, nel 1992, era un tassista. Allora aveva 33 anni e un figlio piccolo. Le guerre jugoslave erano appena cominciate. Credo che Bekir avesse intuito quanto stava per accadere: lui era un musulmano delle terre di Srebrenica. Non so come possedesse una moneta d’oro e non so perché gli venne in mente di scambiarla con una videocamera. Riuscì a convincere anche due amici ad aiutarlo a girare, ogni giorno, scene della vita quotidiana della loro cittadina intrappolata e accerchiata. Allora Srebrenica era un centro termale in un paesaggio di boschi e fiumi. A poca distanza, verso Sud, scorrono le acque color smeraldo della Drina. Nel 1993, Srebrenica fu dichiarata «zona protetta» dalle Nazioni Unite e posta sotto la protezione di soldati Onu. La città accolse profughi musulmani in fuga dagli attacchi dell’esercito serbo della Bosnia-Erzegovina. Bekir e i suoi due amici non smisero di girare i loro video. Per ricaricare le batterie andavano da un uomo che, grazie a un mulino ad acqua, riusciva a produrre energia elettrica. Filmerà fino all’ultimo giorno. 

Due anni più tardi, il 9 luglio del 1995, le milizie serbe entrarono a Srebrenica. Gli abitanti cercarono salvezza nella base delle Nazioni Unite a Potocari. L’Onu tradì le sue promesse, non difese quelle persone in fuga. Cominciò così il più spaventoso eccidio avvenuto in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. Gli uomini, tra i 12 e i 77 anni, furono separati dalle donne. In tre giorni, vennero tutti uccisi. Un genocidio. Ottomila ragazzi e uomini. Tra di loro il padre di Bekir, di lui non sono state ancora ritrovate le ossa. Molti dei corpi furono dilaniati e gettati in fosse comuni diverse. Bekir si salvò: non aveva creduto alle promesse internazionali e, con il fratello e i due amici, aveva preso la via dei boschi. Fu uno dei tremila superstiti di quel massacro. 

Sono passati trent’anni da quel luglio tragico. Una settimana prima aveva abbandonato la vita Alex Langer, l’eurodeputato che, pochi giorni prima, aveva consegnato al presidente francese Jacques Chirac, allora a capo del Consiglio d’Europa, un appello disperato: «L’Europa nasce o muore a Sarajevo». L’Europa morì a Srebrenica. E non è ancora risorta. Quanto accadde in quelle terre non fu solo una terribile guerra di potere e dominio, alimentata da fuochi etnici e religiosi, ma l’avvertimento di quanto poteva succedere nel nuovo millennio. Nessuno ha saputo alzare, dopo Srebrenica, un argine contro i nazionalismi e rafforzare organismi internazionali capaci di fare barriera contro le tempeste che oggi ci avvolgono.

Ado Hasanovic è un uomo di 38 anni. Ha capelli lunghissimi, a volte raccolti in crocchia, una folta barba scura e le foto che ho visto lo mostrano con invidiabili camicie variopinte. Un tipo simpatico. È il figlio di Bekir, e il nipote di quel nonno mai più ritrovato. E, credo, sia stato contagiato dalla videocamera del padre (spero che ce l’abbia ancora): è cresciuto a Roma e ha studiato cinema. Oggi è un regista, conosciuto e amato soprattutto per i suoi cortometraggi. Nel 2016, il padre ebbe un attacco di cuore. Ado capì che non vi era tempo, doveva raccontare questa storia, ascoltare i racconti di suo padre e di Fatima, sua madre. Le memorie di Bekir (le sue cassette Vhs, i quaderni con i suoi diari) dovevano essere salvate, dovevano essere conosciute. Ado gira così il suo primo lungometraggio: I diari di mio padre, un film che racconta l’attesa disperata dei cittadini di Srebrenica, la loro paura, ma anche la loro voglia di vivere, di ballare, di cantare. Sapete, solo il 10% delle persone che appaiono nelle immagini girate da Bekir è sopravvissuto all’eccidio. È uno di quei film da far vedere al maggior numero possibile di persone. Soprattutto ai ragazzi.

Federica Manzon, scrittrice friulana, vincitrice, lo scorso anno, del Premio Campiello, ha scritto in un recente reportage attorno a Srebrenica: «Tornarvi significa camminare per una città abbandonata… si cammina fra i fantasmi della storia, la vita latita». Oggi vi abitano poco più di mille persone. Quattromila se si considera anche l’intera municipalità e i suoi diciannove villaggi. E le tensioni, le fratture, le ferite che non si cicatrizzano, sono nell’aria, nei gesti, nei sentimenti, nella politica. Vi è chi nega il massacro e chi ancora cerca i corpi dei propri cari scomparsi. No, la memoria non è condivisa, un dialogo sincero non è cominciato, la riconciliazione è ancora lontana. Ci sono ancora più di mille corpi da trovare e seppellire.

Io mi fido di Ado. Il figlio di Bekir ha avuto un’idea coraggiosa. Al pari del padre che aveva scambiato una moneta d’oro con una videocamera. Lo scorso anno ha organizzato, a Srebrenica, un festival cinematografico, a pochi giorni di distanza dalle cerimonie, dolorose, ma anche paludate, dell’anniversario della strage. Un festival con proiezioni all’aperto, al limitare dei boschi: e quest’anno si svolgerà la seconda edizione del Silver Frame Film Festival, Srebrni ovkir, in bosniaco/serbo/croato.

È un festival che rende omaggio, fin dal nome, alla cittadina. Srebrenica può essere tradotto con «terra d’argento». Questa è stata terra di miniere fin dai tempi dell’antichità, qui si estraeva il minerale necessario per battere moneta. Ad Ado piace pensare che i frame dei film che saranno proiettati siano come le pagliuzze d’argento che a volte brillano sul terreno dei boschi attorno alla città. Un festival che riunisce giovani provenienti dalle sei scuole di cinema dell’ex-Jugoslavia. Lo scorso anno vennero a Srebrenica 35 ospiti internazionali. Qualcosa che non si era mai vista da queste parti. Tutti i nuovi stati balcanici sono rappresentati, quasi una raffigurazione di una vecchia Jugoslavia tragicamente dissolta. Leggo un’intervista di Ado: «Qui è importante parlare del presente e del futuro. Non possiamo essere per sempre ostaggio di un passato così soverchiante».

A Srebrenica c’è il lutto, il dolore, la morte. E c’è anche la bellezza dell’altopiano, una natura scintillante, verdissima, un bosco generoso di funghi, lo scintillio dei torrenti. «Dobbiamo ragionare del futuro», leggo ancora le parole di Ado. Il festival non mette al suo centro l’eccidio, non lo dimentica, ma la sua attenzione è alle crisi ambientali, alla necessità di ricostruire quei ponti tra le persone e le terre demoliti trent’anni fa. Il Silver Frame Film Festival è per i vivi. «Abbiamo bisogno di stare assieme, qui si può imparare tanto, soprattutto sull’umanità», dice ancora Ado. La seconda edizione del festival si svolgerà a Srebrenica dal 14 al 17 luglio. Cominciate ad incamminarvi perché questa terra «non è solo un luogo del ricordo, ma anche un posto dove incontrarsi». 

Per informazioni: www.silverframefilm.com

Foto: © Mario Boccia

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Data di aggiornamento: 05 Luglio 2025

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