In cammino cercando un volto
Siamo una ventina di pellegrini a piedi da Monselice, città dalle radici medioevali a sud di Padova; quasi tutti buoni camminatori: battitori dell’itinerario di Santiago e di altre vie sante. Era originaria di Monselice una devota che, secondo antiche fonti, sant’Antonio liberò dalla disperazione prodotta fatalmente in lei dal marito crudele.
Stiamo percorrendo i venticinque chilometri di argine che portano alla città del Santo, condividendo parole e sorsi d’acqua, e alternando silenzi meditativi a narrazioni di vita. Con noi è una piccola reliquia di sant’Antonio – qualche filo del suo saio – che passa di mano in mano, trattenuta vicino al cuore. Così il Santo ci accompagna lungo un percorso che lui stesso ha coperto visitando i confratelli affidati alle sue cure.
Man mano che il cammino procede sotto un sole primaverile, sento che questo andare faticando produce disintossicazione: gli occhi incontrano persone e cose a una profondità nuova e le stesse distanze tra i vari luoghi riacquistano – non più accorciate dal turbo – le loro dimensioni reali. E comincia anche, a dispetto di qualche fastidio ai piedi, una sorta di snebbiamento, di rarefazione della «confusione della mente», come la definisce il Santo, causata non solo dai grandi peccati, ma anche da quell’inquinamento quotidiano ben familiare, legato al tanto «fare» e al pochissimo «essere».
Di chilometro in chilometro, do ragione ad Antonio che dice: «I mondani chiedono prima di tutto le cose terrene e per ultime quelle eterne, mentre prima dovrebbero incominciare dal cielo, dove sta il nostro tesoro, e dove perciò dovrebbe essere anche il nostro cuore (cf. Mt 6,21; Lc 12,34) e anche la nostra domanda».
Una domanda da porre in cielo, nientemeno! È vero, le domande rasoterra non hanno risposta perché pretendono il nulla. Tutti ne abbiamo esperienza, in un modo o nell’altro: incontro parecchie persone molto giovani che sono inviate a noi, in comunità, perché ricevano una «terapia», ma so bene che la domanda di «guarigione» non si restringe alla droga o ad altre vecchie e nuove dipendenze, ma riguarda una rinascita di ben altra natura, più profonda.
«Il volto del Signore è quell’immagine secondo la quale siamo stati creati a sua immagine e somiglianza» dice sant’Antonio, ma col nostro peccato «sopra il volto del Signore abbiamo disegnato il volto del diavolo». Abbiamo sovrapposto «il ceffo del diavolo al volto di Dio». E la nostra è tutta una storia di mascheramenti, più o meno inquietanti, che oscurano una bellezza perduta.
Il nostro Santo, da buon maestro spirituale, ci incita a uno strappo inevitabile: «Per essere in grado di ritrovare il volto del Signore, che abbiamo perduto, accendiamo la lucerna, buttiamo completamente all’aria la casa finché lo troviamo (Cf Lc 15,8)». Ai nostri ragazzi insegniamo allora a «buttare all’aria tutto» per una via d’uscita alla libertà. Ma questo pellegrinaggio a piedi, con un’incipiente fastidiosissima vescica a quello sinistro, sta buttando all’aria qualcosa anche in me?