Caro san Paolo…
«Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Efesini 4, 1-6).
Oh che bello! Grazie san Paolo perché mi doni le istruzioni sul come stare nel matrimonio con Chiara. Prima di tutto mi dici che devo comportarmi in maniera degna della chiamata che ho ricevuto, e già qui parti tosto. La chiamata che, come sposo, ho ricevuto è quella di amare mia moglie fino alla morte, come Cristo ha amato l’umanità. Mi sembra una meta parecchio ambiziosa da conquistare! Personalmente, caro san Paolo, mi prendo un po’ di tempo per provare a raggiungerla, direi fino alla mia morte corporale. Sai san Paolo, l’asticella è alta e mi serve parecchia rincorsa per saltarla. Comunque, ti posso assicurare che ci sto provando, con alterne fortune, a comportarmi in modo degno di questa chiamata. Anche nel momento in cui ti scrivo ho il petto in fuori e cammino gonfio di orgoglio di essere stato chiamato a un’impresa così eroica e bella.
Tuttavia, non ti nascondo che cerco di non pensare troppo a quanto inadeguato mi senta a volte, altrimenti mi sale il panico. Mi aiuta a trovare un po’ di serenità ricordarmi quello che mi scrivi dopo: «Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti». Dunque, non sono solo in questa eroica impresa, ma c’è un Dio che vuole essermi Padre (che quindi ci tiene parecchio a me e al successo dell’impresa), opera in me e attraverso le persone che mi sono vicine per la riuscita della chiamata. È un po’ come se all’esame di maturità, durante il tema d’italiano, mi fosse permesso di collegarmi con l’auricolare a mio padre, solo che mio papà è uno tipo Umberto Eco. Ricordarmi che non devo fare affidamento solo su me stesso mi tranquillizza parecchio.
Detto questo, caro san Paolo, cominci a elencare pure la «lista della spesa» delle cose da mettere nello «zaino» della mia persona, gli atteggiamenti utili per camminare verso la meta dell’amore di coppia. Vediamola:
- Umiltà, cioè la consapevolezza di chi sono: una creatura che a volte sbaglia strada, è confusa, pecca e si confonde. Devo ricordarmi che comunque ho un corpo di carne e non sono fatto solo di spirito. Per di più è utile tener presente che anche chi ho sposato è una creatura limitata come me.
- Dolcezza, sia verso me stesso, abitato da una strutturale vulnerabilità, sia verso la mia sposa, anch’essa abitata dalle sue paure d’inadeguatezza, di non essere abbastanza, di non essere amabile. Dobbiamo trattarci con delicatezza perché siamo, pur sempre, esseri fragili e delicati.
- Magnanimità, cioè l’agire con grandezza d’animo, con generosità. Sono chiamato a «non badare a spese» nella relazione con mia moglie. Questo non solo dal punto di vita economico. Sono chiamato a non essere avaro anche sul tempo da passare con lei, sull’ascolto delle sue parole ed esigenze, sui gesti di servizio nei sui confronti, nel sorprenderla. Qui ti posso assicurare, san Paolo, che c’è parecchio margine di miglioramento. Fortunatamente mi vengono in soccorso altre traduzioni che mettono la parola «pazienza» al posto di magnanimità. Probabilmente perché ne devo avere tanta anche con me stesso (e mia moglie con me).
- Sopportandovi a vicenda nell’amore. Sopportare deriva da sub (sotto) e portare, quindi sta a indicare l’attitudine di «portare» in me il «sotto» dell’altro (inteso come le sue parti meno carine). Questo perché ho scelto di amare, e ho scelto di farlo anche nel male, non solo nel bene (altrimenti che amore è?). Perché l’amore tutto sopporta.
- Conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. In un tempo di guerra mi ricordi che, anche nel mio matrimonio, è la pace che permette l’unità dello spirito con Chiara. Possiamo litigare, ma poi perdonarci; possiamo perdere la sintonia, ma poi risintonizzarci; possiamo allontanarci, ma poi riavvicinarci. Posso provare a costruire sempre nuovi ponti senza aver paura di perdonare o di chiedere scusa. Che dire allora? Grazie san Paolo, di cuore, per queste tue «dritte» per il mio matrimonio. Seguendole, so che in me e nella relazione di coppia non verrà mai meno la speranza fondata sulla consapevolezza di essere sempre amati per primi dal Padre.
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