Cartoline da un ex paradiso

Pensato come luogo di villeggiatura, in pochi decenni Castel Volturno è diventato un dormitorio per i tantissimi immigrati in cerca di una vita nuova. Tra abusi edilizi, criminalità e sfruttamento. Un sottomondo dove opera una comunità di comboniani.
12 Giugno 2023 | di

La spiaggia bassa e sabbiosa, accarezzata da un vento tiepido, nei tempi antichi ha visto giungere facoltosi romani che, in fuga dalla città imperiale, qui desideravano trovare pace e silenzio. Oggi, a pochi metri da quello stesso mare, una serie di villette abusive, alcune decisamente kitsch, giace abbandonata. Assurda cartolina da un posto surreale. Benvenuti a Castel Volturno (CE), un mondo a parte, dove persino il numero degli abitanti non è chiaro. Sulla carta dovrebbero essere 30 mila ma, visto il consumo delle utenze elettriche, ce ne sono almeno il doppio. Siamo verso il confine tra Campania e Lazio, lungo l’esteso arenile, il litorale Domizio, violato dall’inquinamento e dagli abusi edilizi. Un territorio pieno di contraddizioni, ricco di bellezza, eppure costantemente oltraggiato, così intenso da essere scelto come location di film famosi su disagio sociale, criminalità e disorientamento giovanile, come Indivisibili, Fortapàsc, Là-Bas, Dogman e Gomorra

Terra di missione

L’esplosione dell’abusivismo risale agli anni Settanta, quando venne realizzato un numero impressionante di immobili. Le seconde case, spesso vuote o occupate pochi giorni all’anno, invasero la zona di Destra Volturno. Oggi, ormai erose dalla salsedine, sono rifugio per i migranti, che qui sono in grandissimo numero. Non mancano gli italiani, gli sfrattati, gli sfollati del terremoto di Napoli e del bradisismo di Pozzuoli dagli anni ’80. Per chi non può più permettersi una casa, Castel Volturno è un provvidenziale dormitorio, una zona grigia dove è difficile decifrare cos’è la legalità, spiegano i missionari comboniani, arrivati qui nel 1996. È proprio in questo contesto magmatico, in cui convivono circa 92 diverse nazionalità, che i padri comboniani operano. Arrivano dal profondo Nord, e si trovano a vivere in un Sud trasformato e multietnico.

Da tempo i religiosi si chiedevano se la missione fosse solo altrove, in Paesi lontani, seguendo le orme del fondatore, san Daniele Comboni, o se ormai anche l’Italia fosse un Paese di missione, meta di tanti «pezzi d’Africa» giunti fin qui per cercare disperatamente una vita degna. I religiosi hanno scelto di vivere in un appartamento popolare, luminoso e colorato, con disegni e quadri che ricordano le terre esotiche, dall’Africa all’America Latina. Dopo esperienze in diverse parti del Pianeta, infatti, hanno deciso di stare con «i più poveri e abbandonati» in questa fetta di Italia, che si regge tra compromessi, silenzi e assenze pubbliche. «Castel Volturno è una realtà complessa, non va semplificata ma analizzata» spiega padre Daniele Moschetti, nativo della provincia di Varese, alle spalle studi di teologia in Africa e missioni in Kenya, in Palestina, in Sud Sudan, e persino alle Nazioni Unite. Oggi è in comunità assieme a padre Sergio Agustoni, padre Filippo Ivardi Ganapini e Simone Parimbelli, un laico comboniano. 

Bagno d’umanità

Padre Sergio, nato nella bergamasca, da 7 anni in Italia, è giunto in Campania dopo la missione in America Latina: 16 anni in Perù e 12 in Messico. «Sono stato catapultato in un vortice di internazionalità, multiculturalità e multireligiosità. Buona parte del mondo è qui, tanti di passaggio e tanti che hanno messo radici. Castel Volturno è un bagno di umanità, scuola di pazienza e flessibilità, un’esperienza di impotenza, ma anche un laboratorio incredibile di convivenza». Terminato il periodo italiano, padre Sergio si prepara al ritorno in Perù.

La comunità migrante più numerosa proviene dalla Nigeria, con il 35,5 per cento degli stranieri, seguita dal Ghana (10,1 per cento) e dall’Ucraina (7,0). Gli immigrati sono visti come «forza lavoro provvisoria, temporanea e in transito», spiegano i comboniani. Devono lavorare e poi sparire dagli spazi di vita sociale. Sono presenze invisibili. «Arrivano sapendo di trovare un lavoro nei campi. Guadagnando 3-4 euro all’ora, quando vengono pagati», svela padre Filippo, nato a Parma, che prima di venire in Campania è stato missionario in Perù, Bolivia e Ciad. «Donne e uomini si ritrovano la mattina presto presso le rotonde stradali per cercare una giornata di lavoro – continua –. Una di queste, bella grande, alle porte di Scampia, è chiamata non a caso la “Rotonda degli schiavi”. Mondi paralleli che non si incontrano: chi arriva dalla Nigeria, e frequenta solo connazionali, rimane nel suo guscio, compresa la domenica, quando partecipa alla Messa pentecostale in inglese».

Braccia a buon mercato

Sul lungomare una sfilza imponente di palazzine è diventata un mega cantiere del 110 per cento; di manovalanza per i lavori edilizi qui se ne trova a buon prezzo. Per i tanti caseifici dove si produce la mozzarella aversana, l’esercito dei lavoratori invisibili è manna dal cielo. Arrivano in Italia ignari, sanno solo che troveranno un lavoro e forse anche un tetto, chiariscono i missionari. Anche il traffico dei rifiuti illegali richiede braccia a buon mercato. Nella terra dei fuochi, che comprende questa fetta di Campania, si continua a morire. Non lontano c’è il centro sportivo dove il Napoli si allena in un momento magico per il team di mister Spalletti. In fondo, la lunga strada dritta cavalca veloce l’asfalto, dividendo case e palazzi, territorio di quella periferia tanto cara a Pasolini, dove la spontaneità si mischia con la sopravvivenza dei più disperati. È anche la terra del Lago Patria, lo specchio d’acqua più grande della Campania, e di svariate pinete.

I clan camorristici si dividono la piazza, tra spaccio di droga e traffico di rifiuti. «Non ci sono luoghi di ritrovo a parte i pochi bar della zona, manca l’offerta culturale e aggregativa per i ragazzi», sottolinea padre Moschetti. La «Casa Black and White», voluta dai comboniani, un’opportunità di studio e aggregazione, è animata da un’associazione di volontariato. Laboratori di arte e doposcuola offrono spazi d’integrazione. Sotto le pinete, il monumento a Miriam Makeba sorge in un vialone e ricorda dove avvenne il suo ultimo concerto. La cantante sudafricana di afro, jazz e soul, nota come «Mama Africa», morì proprio qui la notte del 9 novembre 2008 per un attacco cardiaco. Qualche ora prima si era esibita in un concerto contro la camorra che aveva ucciso sei ragazzi africani il 18 settembre 2008 a Castel Volturno, terra di confine, dove ancora oggi e nonostante le contraddizioni, mani amiche tentano di abbattere i muri di diffidenza e intolleranza.

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Data di aggiornamento: 12 Giugno 2023
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