Chiesa e sport, connubio vincente

A tu per tu con don Luca Meacci, assistente ecclesiastico del CSI, Centro Sportivo Italiano, che quest’anno compie 80 anni di vita.
30 Dicembre 2024 | di

Chiunque abbia frequentato l’oratorio ricorda bene le epiche sfide sui campetti di calcio o le infuocate partite a pallavolo. «Sport e oratorio (o parrocchia) è un binomio che sta bene insieme perché lo sport (come il gioco) è un linguaggio universale che unisce, fa incontrare, abbatte le barriere. Inoltre, sport e gioco sono luoghi educativi, esperienze dove ogni ragazzo e ragazza può esprimersi dando il meglio di sé e puntando a superare i limiti che ognuno di noi porta con sé». A parlare così è don Luca Meacci, 60 anni, nato a Incisa Valdarno (Firenze) e parroco di San Martino a Rufina (Firenze), che dallo scorso luglio è il nuovo assistente ecclesiastico nazionale del CSI-Centro Sportivo Italiano, l’associazione che proprio quest’anno festeggia gli 80 anni della fondazione. Subentrato nel ruolo a don Alessio Albertini, don Meacci ha un rapporto particolare con lo sport, visto che da giovane è stato un buon terzino destro e anche un bravo passista nel ciclismo. Ma anche oggi che è «uno sportivo non praticante con qualche chilo in più», non si tira certo indietro dal giocare coi ragazzi o dal camminare in montagna.

Msa. Don Luca, com’è nata la sua vocazione? 

Meacci. Non sono mai stato forzato dalla mia famiglia a partecipare alla Messa o alla vita della parrocchia: mi hanno lasciato libero di fare il mio percorso. Però in famiglia valori come l’educazione, l’impegno, il rispetto degli altri e delle cose, la costanza nel portare avanti gli impegni presi sono sempre stati presenti. Fin da ragazzo, ho frequentato la parrocchia di Sant’Alessandro a Incisa (Firenze). All’età di 13-14 anni, partecipando a un campo scuola estivo, ho conosciuto l’Opera per la gioventù Giorgio La Pira, di cui oggi sono l’assistente. Questa è stata l’esperienza che ha maturato la mia vocazione cristiana e il mio impegno nella Chiesa e nel territorio. Con il cammino formativo all’interno di questa associazione ho avvertito che il Signore mi stava chiedendo qualcosa di più. Quello che facevo non mi bastava, sentivo di dovermi donare completamente a Dio. 

Prima di diventare assistente nazionale del CSI, lei ha ricoperto lo stesso ruolo nel CSI Toscana. Come si è avvicinato al mondo dello sport e del CSI?

Ho iniziato a frequentare il CSI della Toscana nel 1994, quando il mio vescovo mi inviò, insieme a un altro prete, a un convegno dei consulenti (prima l’assistente nel CSI aveva questo titolo) del CSI a Roma. Nel 1996, l’allora consulente regionale partiva per il Brasile e quindi qualcuno lo doveva sostituire. La scelta cadde su di me. Mi sono appassionato subito, anche perché lo sport mi piace tutto. 

Quali sono i compiti dell’assistente ecclesiastico del CSI?

L’assistente nel CSI «gioca» la sua parte, non da solo, ma in squadra. Porta la sua testimonianza di fede che condivide con dirigenti, atleti e tecnici delle società sportive. Sicuramente il nostro ruolo è anche quello di richiamare l’appartenenza del CSI alla Chiesa, non tanto come vincolo, ma come risorsa perché valorizza lo sport, aiutandolo a trovare la «purezza» del gesto sportivo. Non esiste uno sport cristiano e uno non cristiano, c’è solo lo sport con i suoi riti, il suo competere e le manifestazioni dei tifosi, quando non esagerano nella violenza. Quindi il mio ruolo, ma, direi, quello di ognuno di noi che ha responsabilità nel CSI, è quello di preservare lo sport dagli eccessi e dalla bramosia di vincere a ogni costo, promuovendo uno sport che mette al centro la persona. 

Sport e fede: che cos’hanno in comune?

Sicuramente c’è un forte collegamento, sono due esperienze che possono essere complementari, perché l’uno aggiunge qualcosa all’altro. In particolare, nella persona che pratica sport e vive e testimonia la sua fede, queste due esperienze si manifestano nella massima forma. Lo sport invita a impegnarti per raggiungere un obiettivo, sei disposto anche a fare delle rinunce. Lo sport ti porta a sperimentare il «gioco di squadra», non vinci da solo. Neppure chi pratica sport individuali vince da solo, ma ha dietro una squadra, una società, dei tecnici. Nell’esperienza sportiva ti incontri con l’altro che forse neppure conosci. Con lo sport impari a perdere, a riconoscere i tuoi limiti e a capire dove devi migliorarti. Trasferisci tutto questo nell’ambito della fede e vedi come la fede si arricchisce… Però, allo stesso tempo, è la fede che ti aiuta a riconoscere che sei dono, che tutto non dipende da te. 

Quali sono i valori dello sport che ritiene più importanti e che il CSI promuove?

Il Patto associativo del CSI ribadisce con forza che «la persona umana è il soggetto e il fine dell’attività del CSI». Lo sport che il Centro promuove punta a valorizzare le persone e a esaltare il gesto sportivo nella sua purezza, quindi svuotato dall’aggressività e dal dover vincere per forza e a ogni costo. Lo sport è e deve essere festa, incontro. Certo, anche competizione, dove la vittoria non sminuisce l’avversario, ma mette in risalto le capacità del vincitore e indica i margini di miglioramento di colui che ha sperimentato la sconfitta. Lo sport esige e favorisce il «gioco di squadra», dove tutti concorrono alla vittoria o al raggiungimento del traguardo. Nemmeno la competizione va demonizzata, tutt’altro: se vissuta nelle dinamiche corrette, diventa lo stimolo all’impegno e al sacrificio, dove l’esperienza della sconfitta diventa lo stimolo a crescere e a migliorarsi.

Che cosa significa per il CSI «inclusione»?

Significa vivere l’esperienza sportiva nella sua purezza e integrità, cioè liberando lo sport da quei condizionamenti che portano a dividerci, a sottolineare le diversità per creare distanze e, a volte, esclusione. Il CSI propone uno sport che si fa accogliente e riconosce a tutti la possibilità di esercitarlo, di giocare e, nella gratuità del gesto sportivo, incontrare l’altro, accoglierlo e considerarlo fratello e sorella. Mi è capitato più volte, in alcune circostanze dove dovevamo animare e intrattenere ragazzi di diversi Paesi, culture e colore della pelle. Eravamo preoccupati per come favorire l’inclusione e l’accoglienza reciproca, ma poi è bastata una palla e quello che poteva sembrare un ostacolo si è frantumato con un’attività sportiva.

Nel 2024 si festeggiano gli 80 anni del CSI, quale messaggio vorrebbe dare come assistente ecclesiastico?

Sono 80 anni di sport e di servizio alla persona attraverso lo sport. Credo sia doveroso che il CSI sappia guardarsi indietro, non certo per nostalgia o per rimpiangere il passato. Guardare alle proprie radici, al bene che si è seminato, ma anche agli errori e alle occasioni in cui potevamo fare meglio. Questo sguardo alle nostre radici deve darci maggiore slancio per rinnovare carica e voglia di giocare ed esprimere il meglio di noi attraverso lo sport. Il CSI ha il dovere e la responsabilità di essere presenza viva nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie, nei nostri oratori e dentro il mondo della Chiesa. La nostra associazione è nata anche per essere segno concreto e visibile nel contesto sportivo generale, sia territoriale sia nazionale, e per affermare che lo sport deve valorizzare la persona, deve educare al bene e al bello, all’inclusione e alla pace. Il CSI deve aiutare la Chiesa italiana, specialmente in questa fase del cammino sinodale, affinché si consideri lo sport non un passatempo o una divagazione inutile, ma una reale occasione di evangelizzazione e di crescita umana e cristiana. Lo sport ha bisogno della Chiesa e la Chiesa ha bisogno dell’agone sportivo per riscoprire forza e un sano spirito competitivo.

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Data di aggiornamento: 30 Dicembre 2024
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