Come pregare? Ecco un metodo in 4 passi
Perché un metodo?
Forse per qualcuno potrà sembrare strana l’idea di avere un «metodo» per la preghiera. Magari si pensa che la preghiera sia solamente spontaneità: «Io dico a Dio quello che mi sento». Oppure anche: «Nell’amore, nell’amicizia, nelle relazioni, non servono regole!».
Cos’è la preghiera?
Queste idee forse sono abbastanza diffuse, e in parte dicono anche una verità. La preghiera, infatti, è anzitutto una relazione, un’amicizia da coltivare, fra la creatura e il suo Creatore, tra me e Dio. Ed è precisamente una relazione d’amore. L’amore di un Padre verso un figlio, una figlia. L’amore di un/a figlio/a verso il Padre. Pregare è quindi anzitutto l’azione dello Spirito Santo in noi, che ci rende “figli amati dal Padre”, che ci abilita a questa relazione, che ci fa somigliare sempre più al Figlio amato, Gesù Cristo. In questo senso in effetti la preghiera allora è molto di più di un metodo, è molto di più che seguire delle regole, è molto di più che recitare delle formule:
«La preghiera è un respiro, non un manuale, una virata, non una soluzione. La preghiera non è “una cosa che si fa”, ma piuttosto la persona stessa dello Spirito che vive in noi, piange, sospira, esulta in noi […]. In un certo senso pregare è una sorta di vocazione, anzi sono personalmente convinto che sia la proto–vocazione di chi crede: siamo nati per pregare, per perpetuare sulla terra la lode perfetta che Gesù nei giorni della sua vita terrena ha innalzato al Padre celeste. Innestarsi nella sua lode è gioia intramontabile».
(G. Forlai, La porta del castello, 2021, pp. 9ss)
In questo «respiro», così profondo e reale, incontriamo piano piano il vero volto di Dio e il nostro stesso vero volto. Scopriamo chi è il Figlio e chi è il Padre, chi è l’uomo e chi è Dio, «chi sono io e chi sei tu» direbbe il nostro caro san Francesco. Incontriamo la nostra identità più profonda, e l’identità più profonda di Dio:
«Per Teresa d’Avila l’orazione è la porta del nostro castello interiore dove, nella stanza centrale, siede in trono Cristo Risorto. Pregare vuol dire varcare questa soglia ed entrare con coraggio in un mondo da esplorare, più intimo a noi delle nostre vergogne e dei nostri ideali migliori. Per la grande maestra del Carmelo la conoscenza di sé e l’orazione danzano insieme […]. Più mi conosco, più prego, e pregando scopro colui che mi conosce nella mia essenza più autentica. Pertanto, se vogliamo pregare sul serio, ricordiamoci che dobbiamo essere disposti a dirci la verità. Su questo punto non esistono scorciatoie». (cfr. Forlai, cit.)
Un viaggio faticoso
Questo meraviglioso viaggio interiore, che ci restituisce a noi stessi, però non è certamente tutto rose e fiori. È un viaggio fatto di pazienza, fatto di fatica, di salite e discese, di panorami splendidi e nebbie fitte. Un viaggio fatto di fallimenti e deserti, ma anche di pozzi d’acqua fresca inaspettata. Ancora: di miraggi e distrazioni, di mete raggiunte e subito perse nuovamente. Di incontri stupefacenti, e di corse a perdifiato. Di pace e silenzio da gustare. Di angoscia, di mancanza, di struggimento, ma anche di unione profonda, di consolazioni infinite. Un viaggio in cui non funziona né il «subito», né il «facile». In cui non funziona la pretesa, ma solo l’attesa.
Allora in questo viaggio incredibile abbiamo bisogno di una mano. Perché in realtà noi non sappiamo bene né dove stiamo andando, né quale sia il percorso, né tantomeno il mezzo di trasporto, l’attrezzatura adeguata, i tempi migliori… quali siano i ripari giusti e gli appigli a cui agganciare la nostra corda.
Ma per fortuna, secondo il Vangelo:
«è un diritto del discepolo domandare indicazioni: "Signore, insegnaci a pregare" (Lc 11,1). Quindi la Chiesa, in tutti i suoi membri, non può rifiutarsi di perpetuare l’insegnamento divino sull’orazione o di guidare le anime verso le vette di questo meraviglioso cammino». (cfr. Forlai, cit.)
Ecco perché un metodo. Perché in realtà la preghiera è un’arte. E proprio come ogni arte, è fatta di due dimensioni fondamentali che si intrecciano insieme e che non potrebbero esistere l’una senza l’altra: la tecnica e la creatività, le regole e l’originalità, la costanza e l’intuizione, la pazienza e il guizzo di genio improvviso. Allora sì, ci serve un metodo, perché a pregare s’impara.
Un piccolo metodo di preghiera personale in 4 passi
Lo sfondo del piccolo metodo che qui vogliamo proporre è ciò che abbiamo detto fino a qui: alla base della preghiera c’è una relazione, un incontro. Dobbiamo allora immaginarci i nostri momenti di preghiera proprio come un incontro tra due persone, tra due amici. Io e Dio, la creatura e il Creatore. Proprio come ogni incontro tra amici, esso è fatto allora di 4 passi. I 4 passi formano 4 momenti diversi, caratterizzati da questi verbi: prepararsi – entrare – stare – uscire.
Passo 1: prepararsi
Proprio come accade quando voglio incontrare un amico, il primo passo è preparare questo incontro: concordare una data, un orario; concordare poi un luogo, una situazione; darsi un tempo definito, decidere cosa fare insieme in questo tempo. E poi recarsi in questo luogo, e concentrarsi su ciò che sta per avvenire, lasciando da parte per questo momento tutto il resto… Ecco queste sono alcune cose che tutti facciamo quando incontriamo un amico, e che si possono fare in modo analogo quando stiamo per prepararci ad entrare in preghiera (qui un approfondimento su questo primo momento).
Passo 2: entrare
Poi arriva il momento in cui l’amico che attendavamo si presenta. E allora inizia il nostro incontro, il nostro tempo insieme. Ci sarà un saluto, un abbraccio, un «come stai» reciproco. Ci sarà poi un avviare la conversazione o l’attività che si è deciso di fare insieme, ecc… Proprio così può accadere anche quando entriamo in preghiera, quando ci poniamo di fronte a Dio, attraverso tutte le mediazioni che la Chiesa e la nostra fede cristiana ci offrono (qui un approfondimento su questo secondo passo).
Passo 3: stare
È senza dubbio il cuore dell’incontro, quello che occupa il tempo maggiore. È il tempo in cui effettivamente si sta di più insieme, ci si consegna l’uno all’altro, si dialoga, si vive insieme un’esperienza d’incontro. Insomma, è quando il tempo vola e si è immersi in ciò che si sta vivendo in quel momento, e tutto il resto resta sospeso. Si può dire che anche nell’incontro con Dio è esattamente questo ciò che cerchiamo, e che i due passi precedenti hanno solo preparato e reso possibile. È il passaggio principale dei nostri tempi di preghiera, del nostro stare con Dio, ma è anche quello di cui è più difficile parlare, perché ne è l’elemento più intimo e misterioso (qui un approfondimento su questo terzo passaggio).
Passo 4: uscire
E poi in tutti gli incontri, giunge il momento di doversi salutare. Dopo aver vissuto un tempo insieme, ci si ringrazia, ci si affida qualche raccomandazione. Ci si dà magari appuntamento alla prossima volta. Ci si abbraccia e ci si saluta, ritornando così alla propria quotidianità. Magari nel tragitto del ritorno si ripensa a quanto vissuto insieme a questo nostro amico, e fra le tante cose, una o due in particolare ci rimangono impresse nel cuore. Proprio così accade anche nella preghiera, dove possiamo prenderci qualche momento finale per salutare il Signore e poi per cercare una parola sintetica che ci aiuti a raccogliere quanto vissuto con lui (qui un approfondimento su quest’ultimo aspetto).
Ancora qualche nota
Un’altra metafora utile
Spero che la metafora dell’incontro con un amico possa spiegare il senso di questo metodo e vi aiuti ad entrare dentro questi quattro passi. Se vi può aiutare, essi si possono immaginare anche attraverso l’immagine di un viaggio in nave o in aereo:
- anzitutto il mezzo va preparato, si deve riempire il carburante, caricare il necessario, fare tutte le procedure per verificare che tutto sia funzionante (prepararsi);
- poi si parte, la nave piano piano lascia il molo ed esce dal porto, l’aereo abbandona l’area di sosta, si allinea sulla pista e decolla (entrare);
si inizia così il tempo principale che è quello del viaggio vero e proprio, ad una velocità di crociera definita, con qualche curva ogni tanto (stare);
- infine si arriva al porto finale, con l’attracco e tutto ciò che ne consegue, oppure si atterra con l’aereo, si raggiunge l’area parcheggio, si sbarcano passeggeri e bagagli (uscire).
Per quanto tempo? Quante volte? E altre domande…
Chiaramente questi spunti per un metodo di preghiera non sono esaustivi e non lo vogliono essere. Proveremo, come promesso, ad approfondire un po’ in alcuni articoli dedicati nelle prossime settimane. Le domande che restano sono probabilmente ancora molte… Quanto tempo dedicare alla preghiera? Con che frequenza? Dove mettersi a pregare? Come fare con le distrazioni? E si potrebbe proseguire…
Per adesso vi proponiamo di scriverci le vostre domande in privato. La raccomandazione però che vale sempre, e che volentieri ripetiamo, è sempre la solita: parlane con la tua guida spirituale! Solamente chi ci accompagna con serietà e fedeltà nel cammino spirituale personale può aiutarci a trovare la modalità e il metodo di preghiera che più si adatta a noi e ci aiuta nel momento specifico del cammino in cui ciascuno si trova (non hai ancora una guida? Prova a dare un’occhiata a questo nostro post a riguardo). Noi certamente vi accompagniamo sempre con la nostra preghiera, qui a Padova, alla Basilica di sant’Antonio.
Il Signore benedica sempre il vostro desiderio di Lui, la vostra ricerca del suo volto.
fra Nico – franico@vocazionefrancescana.org
Puoi leggere questo e molti altri articoli sui frati nel blog Vocazione Francescana.
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