Come si scrive una grande storia
Francesco Trento è uno sceneggiatore, cioè una persona che di mestiere costruisce le trame delle storie che poi saranno trasformate in immagini dal cinema e dalla serialità televisiva. È un modo molto speciale di raccontare, perché richiede la competenza di due linguaggi tra loro antitetici: la parola, che ha la pretesa onnipotente di spiegare tutte le cose nominandole, e l’immagine, che lavora sulla convinzione che si possano raccontare anche le cose a cui non sappiamo, possiamo o vogliamo dare un nome. Tenere insieme queste due tensioni rappresentative è un lavoro complesso che pretende una grande capacità di pensiero trasversale e quel raro tipo di immaginazione che nei momenti di crisi riesce a vedere soluzioni che nessun altro vede.
Questa capacità quasi profetica è la ragione per cui gli artisti – molto più degli economisti e dei militari – sono fondamentali nel cambiamento sociale: non se ne difendono, perché sono addestrati a vederlo arrivare e a trattarlo come una potenziale opportunità di rinnovamento. La politica italiana purtroppo non ha mostrato di intendere l’arte e gli artisti in questo modo negli ultimi due anni, relegando i luoghi di elaborazione creativa nella categoria «divertimenti di cui ora possiamo fare a meno» e privandosi così della capacità di visione che migliaia di persone potevano portare nella gestione dell’emergenza; non l’emergenza sanitaria, che sta in capo a medici e operatori, ma quella sociale, che ha riguardato tutti, indistintamente. Che si trattasse di giovani o vecchi, uomini o donne, poveri o ricchi, la pandemia ha ammalato molto più che i singoli organi delle persone contagiate, ma ha colpito alla radice la stabilità del nostro stare insieme, imponendoci distanza fisica e timore del contatto e rompendo o modificando i legami sociali che ci facevano sentire al sicuro più di qualunque farmaco o atto di prevenzione.
Che cosa fa in questa condizione uno sceneggiatore che non può più fare il suo mestiere, ma si trova davanti alla più grande sfida simbolica della sua generazione? Quello che sa fare: ripensa le forme dello stare insieme e le trasforma in una storia di cui ciascuno può sentirsi ancora parte. Francesco Trento ha fatto così: è partito dalla competenza del suo lavoro – tenere corsi di narrazione in presenza – e l’ha spostata sulle piattaforme on line, ma poi ha fatto un passo ulteriore. Tutto è cominciato all’inizio del 2020, quando la pandemia stava muovendo i primi passi visibili in un mondo assolutamente impreparato sia a capirne le cause che a gestirne le mortali conseguenze.
Francesco ha capito, a partire da quel che sentiva accadere a sé, che le persone che stavano a casa per costrizione si sentivano inermi, impotenti davanti all’enormità del contagio e che quel senso di inutilità alla lunga poteva causare un danno molto maggiore del virus stesso. Così ha cominciato a integrare le sue lezioni a pagamento con alcune lezioni gratuite aperte a tutti in cambio di donazioni a cause o soggetti che si stavano occupando dell’emergenza pandemia. Il progetto – titolato «Come si scrive una grande storia», di cui esiste anche il gruppo Facebook omonimo – è partito con il coinvolgimento iniziale di 40-50 persone, poi i numeri degli iscritti è salito nei mesi, fino a formare una piccola comunità di centinaia di persone curiose e generose.
Questa risposta ha spinto Francesco a coinvolgere nella catena dello scambio anche altri colleghi, scrittori e sceneggiatori che fossero disposti a donare due ore di lezione sui temi più svariati di loro competenza. Da Glen Cooper a Joe Lansdale, oltre a molti nomi italiani, tanti autori e autrici hanno accettato di partecipare al suo progetto e, grazie a loro, in un anno e mezzo – un tempo infinito in cui i teatri sono stati prevalentemente chiusi, il cinema fermo, le librerie aperte a singhiozzo e i musei quasi sempre blindati – questa virtuosa catena solidale ha generato più di 80 mila euro di donazioni, di volta in volta destinate ai soggetti indicati da chi regalava la lezione, spaziando tra enti sanitari, associazioni di volontariato, centri antiviolenza e organizzazioni non governative.
«Molte persone mi hanno scritto dicendomi di essersi sentite rimesse in gioco e spinte a ragionare su se stesse e quello che stava succedendo – racconta Francesco –. Oltre alla scrittura, tanti hanno trovato un’appartenenza, perché intorno all’esperienza delle lezioni si è creata una community solidale composta soprattutto da donne e giovani (non a caso le categorie sociali più penalizzate dal covid). Alcuni hanno cominciato a fare volontariato e non l’avevano mai fatto». Forse molti dei partecipanti a queste lezioni, a dispetto del nome dell’iniziativa, non scriveranno mai una grande storia, ma tutti potranno dire di aver vissuto meglio un pezzo fondamentale della propria.
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