Con i bambini di strada in Burkina Faso
Tre uomini e due donne camminano nella notte polverosa di Koudougou, città del Burkina Faso, nell’Africa centro-occidentale. Si aggirano guardinghi. Bisbigliano, pronunciano nomi che riecheggiano nel vuoto delle case abbandonate e sotto i ponti. Il loro richiamo sommesso s’insinua fin dentro le carcasse d’auto degli sfasciacarrozze, dove manciate di bambini dormono raggomitolati come gatti. All’inizio, la loro presenza così insolita, così inattesa, allarmava i ragazzini che, al primo rumore, schizzavano come schegge dai loro nascondigli di fortuna. C’è voluto tempo per capire che potevano diventare amici. Ora sanno che il capo di quello strano drappello, che si muove dalle 23 di notte alle 4 del mattino, è un prete che si chiama Norbert, e che con lui ci sono suore, studenti universitari, operatori sociali, tutti in abiti civili, tutti volontari. A volte si affianca a loro un uomo più anziano, qualcuno dice che sia Joachim Hermenegilde Ouedraogo, il vescovo di Koudougou, che, smessa la talare, va a riprendersi per le strade i suoi figli della notte.
Un viaggio spirituale
L’avrete capito, sto parlando del progetto che noi frati vi proponiamo per il 13 giugno, festa di sant’Antonio. Perché andare fin laggiù – potreste chiedermi – in quelle periferie così remote, quando anche noi siamo ormai periferia, estenuati dal covid e da tutti i suoi mali, noi più poveri, più soli, più impauriti, più stanchi? No, non è come può sembrare a prima vista. Non andiamo a Koudougou per dirvi che c’è chi sta peggio, ma perché intuiamo che aiutando i lontani, gli sconosciuti, i senza speranza, riacquistiamo la vista sul mondo, dentro e fuori di noi. Sant’Antonio ci vorrebbe persone capaci di risorgere, di scegliere ogni giorno e ogni giorno lottare per qualcosa di buono. Questa volta non potrò recarmi di persona a Koudougou, ma un nostro frate missionario a Sabou, a pochi chilometri dal progetto, lo ha fatto per noi, annunciando il nostro impegno.
Ora sono costantemente in contatto con il Burkina Faso, tramite la mediazione di suor Luigina Cervino, missionaria torinese delle suore del Santo Natale, anch’esse coinvolte nel progetto. È lei a farmi avere l’appello del vescovo Ouedraogo: «La mia diocesi è al secondo posto nel Paese per numero di bambini abbandonati – spiega il vescovo –, un’emergenza che richiede tutta la nostra attenzione. Per questo motivo ho creato un gruppo di persone, che fa capo alla Pastorale dei migranti e dei rifugiati, guidato da un sacerdote, Norbert Zombo, ma di cui fanno parte varie realtà della Chiesa e della società, in qualche modo coinvolte nell’aiuto ai ragazzi. Innanzitutto le suore del Santo Natale che già gestiscono un asilo e una scuola di sartoria per ragazze, ma anche studenti dell’università di psicologia e operatori sociali».
Tante sono le cause che hanno aggravato il fenomeno dei bambini di strada; una tra le più recenti è la forte migrazione dal Nord del Paese, causata dal moltiplicarsi degli attacchi terroristici. Secondo l’Unicef, nel 2020 gli sfollati interni sono stati 838 mila, il 61 per cento dei quali minorenni. Uno dei luoghi scelti dai rifugiati è proprio Koudougou, città che per la sua posizione nel Centro-ovest del Paese, è considerata più sicura. Tanti i motivi che portano i bambini a scegliere la strada: l’abbandono o la morte di uno o di entrambi i genitori, l’esser figli di ragazze madri o, ancora, la violenza o gli abusi che si consumano nelle famiglie, a causa della povertà materiale e spirituale degli adulti. Tuttavia sono le storie che mi racconta Norbert, il responsabile per i bambini di strada a strapparmi il cuore. Storie che mi catapultano a Koudougou, senza neppure fare un passo.
Al centro, fra Tomasz Kret, nostro frate in Burkina Faso; a destra, suor Luigina Cervino, la nostra referente e, a sinistra, padre Norbert Zombo, responsabile dell’équipe diocesana per i bambini di strada, e suor Celine Ballo, anch’essa parte dell’équipe.
Lo scempio dei bambini
Nadege ha 10 anni, ma ne ha vissuti 100. «Fino a qualche mese fa – scrive Norbert – viveva con una vedova di 80. L’anziana raccontava che i nonni della piccola avevano cercato di far abortire sua madre. Ma Nadege era nata lo stesso. La madre, allora, l’ha abbandonata davanti alla porta della vedova, una donna povera, quasi cieca e molto malata, che la bambina chiamava “nonna”. Fin da piccolissima era Nadege a procurare il cibo: usciva da sola per raccogliere pezzi di ferro che poi rivendeva al corrispettivo di 65 centesimi al chilo. Tanti giorni non mangiava, quel poco che trovava lo dava alla nonna». Con la morte dell’anziana, Nadege cade in un baratro. Sola, girovaga per strade e mercati, finché una signora le offre di lavorare al suo ristorante. È un trucco per costringerla a prostituirsi. Seguono settimane infernali, in cui la bambina tenta di ribellarsi, ricevendo botte e ferite che oggi segnano il suo piccolo corpo. Un giorno un uomo eccede nella violenza, la bambina sviene in una pozza di sangue. La padrona, convinta che stia per morire, la carica in macchina e l’abbandona in una stradina secondaria. La salva un uomo, che la porta a casa sua contro il volere della moglie, la quale però presto la caccia. Nadege è di nuovo in strada, ancora sola, ancora in pericolo. «La notte in cui l’abbiamo trovata – racconta Norbert – dormiva sotto un ponte, unica bimba in un gruppo di ragazzini. Appena ci ha visti è scappata, era terrorizzata dagli uomini, così la suora che era con noi ha cercato di stabilire un contatto. C’è voluto molto tempo prima che si fidasse. Adesso viene persino a trovarmi in ufficio. Si avvicina agli operatori in cerca di tenerezza. Sono quelle come lei che vogliamo togliere al più presto dalla strada».
Le bambine sono certamente le più esposte, rischiando di finire nel circuito dello sfruttamento e della prostituzione. Ma anche i bambini sono in pericolo: la criminalità li utilizza come corrieri della droga o di altri traffici e sempre più spesso diventano bambini soldato a servizio dei gruppi armati fondamentalisti.
Una Chiesa in trincea
Andare per le strade, in cerca di chi non è amato, a qualsiasi costo: questo è il pensiero alla base della commissione per i bambini di strada. «Per Dio nessun essere umano è “a perdere” – scrive Norbert –. Quando incontro i bambini e le bambine, il mio cuore si stringe e io cerco di trasmettere amicizia e affetto, la gioia per la loro possibile riuscita. Per me e la mia équipe togliere un bambino dalla strada è difficile e rischioso, perché i piccoli sono sfruttati da gente senza scrupoli. Ma che cosa ha rischiato il Signore per noi? Ha addirittura dato la sua vita per la nostra salvezza. Sono contento della missione affidatami da monsignor Ouedraogo. Lui stesso non ci lascia da soli. Si veste come tutti noi e ci accompagna nelle uscite notturne, ci incoraggia come un padre con i suoi figli».
Un padre che insieme alla sua Chiesa sta ora pensando di strutturare un sistema di accoglienza e di recupero. Lo spiega suor Celine Ballo delle figlie del Santo Natale, anche lei parte della commissione: «Noi suore metteremo a disposizione dei locali della nostra casa. L’edificio dev’essere ristrutturato e adattato alle esigenze dei bambini. In poco tempo ne potremo accogliere almeno trenta». E c’è anche un progetto a lungo termine, che si svilupperà negli anni. Il vescovo ha già trovato il terreno in cui realizzarlo, a pochi chilometri dalla città. «Si tratta di un progetto di accoglienza e di formazione umana e professionale che avrà al centro l’agricoltura e l’allevamento – spiega suor Celine –. È qui che produrremo il cibo e le risorse per sostenere i bambini e il progetto stesso, dando da subito ai piccoli la possibilità di uscire dalla strada e imparare un mestiere. Solo alla fine di questo cammino, quando saremo un po’ più solidi, potremo costruire anche le case-famiglia per accoglierli».
Un progetto a piccoli passi
Monsignor Ouedraogo vuole misurare ogni passo per poi procedere a quello successivo. A Caritas sant’Antonio, a noi tutti, chiede innanzitutto le cose più semplici: ristrutturare la casa delle suore e costruire un pozzo nel terreno dove si svilupperà il progetto agricolo: «Un pozzo ha un valore simbolico importante – continua suor Celine –, è la vita, è la rinascita, è la benedizione: vicino al pozzo inizieremo a coltivare non solo verdure e ortaggi, ma nuove vite».
Se siete stati con me a Koudougou, in questo viaggio fuori dal viaggio, forse ora sapete che cosa possiamo fare e chi possiamo essere, nonostante il covid e oltre il covid. Siamo esseri unici, eppure collegati gli uni agli altri, piccoli eppure potenti, limitati eppure liberi, tutti immersi in un sogno più grande, pensato da Dio. C’è forse un modo migliore per celebrare la vita e sant’Antonio in quest’epoca di pandemia?
(A cura di Giulia Cananzi)
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