E la prossima estate?
Ad alcune settimane di distanza, con il senno di poi, sarei andato anch’io al cinema la sera di Italia-Svezia.
Quel lunedì di desolazione di metà novembre, novantatre spettatori hanno preferito La corazzata Potëmkin alla malinconia di una partita smarrita. Merito di quel genio che è Nanni Moretti. Certo, il ragionier Fantozzi, mille anni fa, si perse i ventun gol dell’Italia contro l’Inghilterra (segnò perfino Zoff, se non ricordo male) perché costretto dal suo megadirettore a vedersi il film di Sergej Ėjzenštejn. Ma, in questo caso, quegli spettatori sono stati saggi. Almeno è finita meglio.
Da tempo, ogni volta che vedo un campo di calcio, mi fermo a fotografare le porte. Lo faccio nei campetti che mi scorrono a fianco mentre viaggio in macchina (una volta ho provocato un tamponamento). I miei amici lo sanno e, in Africa, mi portano in spiazzi fra le case di argilla, nel vallone dei fiumi, in radure per farmi vedere i due pali tenuti assieme da una traversa traballante. Ho commozione nel camminare nella terra rossa e crepata di un luogo destinato al gioco più bello del mondo. Lo immagino popolarsi di ragazzini e di uomini e donne fatti che rincorrono una palla. Ne sento le grida, le botte, gli incitamenti, la felicità.
Per sconfiggere l’umore ancora grigio e ferito vado a rileggermi Eduardo Galeano: «Non sono altro che un mendicante di buon calcio. Vado per il mondo col cappello in mano e negli stadi supplico: “Una bella giocata per l’amor di Dio”».
Ha ragione lo scrittore Gian Luca Favetto: per la mia generazione – anni ’50 – l’eliminazione dell’Italia dal mondiale è «un pezzo della nostra giovinezza» che se ne è andato. Via i tuffi nelle fontane nel 1982, via lo stordimento del 2006, via il rigore sbagliato da Baggio e quello realizzato da Grosso. E il pensiero va alla prossima estate che non sarà tale, nonostante gli islandesi siano una meraviglia urlante dei campi di calcio. Avremmo tifato per loro, ma ora, che l’Italia non c’è, non sarà la stessa cosa.
Continuerò a fotografare le porte del calcio nelle periferie dei paesi. Mi viene voglia di fare una mostra con queste foto. La farò e, all’ingresso, vi appenderò, per cercare di risollevare il mio animo, le parole di gratitudine di Galeano: «Quando il buon calcio si manifesta, rendo grazie per il miracolo e non mi importa un fico secco di quale sia il club o il paese che me lo offre».