Tempo di luce
L’estate, che tutti amiamo, non è solo un tempo svuotato – la «vacanza», il vuoto che diventa vacuo – da riempire se possibile di divertimenti che lasciano il tempo che trovano.
L’etimologia aiuta a coglierne un senso più autentico. «Estate» viene infatti da un’antica radice sanscrita che significa ardere, accendere, infiammare, splendere.
Un tempo di luce, dunque: una «luce che sa di mare», scriveva Cesare Pavese. Luce che inonda le giornate e ruba ore alla notte; che fa brillare la natura, sbocciare i papaveri tra il grano, scintillare le acque.
Un tempo che accende i nostri sensi coi colori, i profumi, il calore che percepiamo sulla pelle e che ci spinge fuori dalle nostre case, alla ricerca di ombra ma anche di incontri, di chiacchiere che tessono simpatia e socialità buona.
Un tempo che ci permette di uscire dalle buie e piccole nicchie delle nostre preoccupazioni, di riconciliarci con la natura, che è anche la via per rispettarla e prendercene cura (come ci invita a fare anche la Giornata nazionale per la custodia del creato, che ricorre il 3 settembre).
La natura ci invita a lasciarci incantare dalle sue splendide asimmetrie, dalle sue forme che non hanno nome e che accendono la fantasia degli artisti e dei poeti, come Emily Dickinson: «Qualcosa in un meriggio d’estate/Un’intensità-un Azzurro-un profumo/Che va oltre l’estasi».
E se l’estate che sta volgendo al termine non è stata, per i motivi più diversi, da noi vissuta così, approfittiamo di questi ultimi giorni di sole e cieli tersi per lasciare che la nostra immaginazione si svegli dal suo torpore, dalle anguste pareti del nostro io, aprendoci alla meraviglia che è fonte di gratitudine e porta spalancata sull’infinito.