Ecco perché è importante votare ai referendum

I referendum dell’8 e 9 giugno sono un’occasione per cambiare direttamente alcune regole su lavoro e diritti. In particolare quelle che hanno agevolato la precarizzazione e messo in crisi la dignità del lavoro.
30 Maggio 2025 | di

Andare a votare per i referendum dell’8 e del 9 giugno non è solo un esercizio di democrazia ma una possibilità di riportare l’attenzione di tutti noi su alcune questioni che ci toccano da vicino e che sono state liquidate troppo sbrigativamente dalla politica, di destra e di sinistra, creando diseguaglianze, precarietà, perdita della dignità del lavoro. Il nostro voto questa volta può davvero fare la differenza, in barba a chi ambiguamente ci invita ad «andare al mare».

Vediamo quali sono queste questioni per ciascuno dei 5 referendum abrogativi, 4 sul lavoro e 1 sulla cittadinanza, con l’aiuto di alcuni esperti, grazie a un’iniziativa pubblica proposta dal Laboratorio «La cura del vero», un’esperienza permanente di democrazia attiva nata dalla collaborazione dell’Università di Padova con la Federazione Nazionale della Stampa Italiana.

Stop ai licenziamenti illegittimi

Referendum 1, scheda verde: Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi

Il primo quesito chiede di abrogare la disciplina dei licenziamenti del contratto a tutele crescenti introdotta dal Job Act (d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23), disciplina che ha di fatto superato le tutele del vecchio articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori ma solo per una parte dei lavoratori stessi. Nelle imprese con più di 15 dipendenti, le lavoratrici e i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi non possono rientrare nel loro posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, anche se dichiarato da un giudice, mentre gli altri dipendenti restano ancora tutelati dall’articolo 18.

«La disciplina odierna – afferma Monica Andolfatto, giornalista alla guida del Sindacato Giornalisti Veneto – scambia quello che prima era un diritto, cioè essere reintegrato dopo un licenziamento illegittimo, con una transazione economica di un certo numero di mensilità, assegnando di fatto un prezzo al posto di lavoro. E sancisce una netta disuguaglianza tra lavoratori con mansioni simili, basata solo su una questione temporale: l’essere stati assunti prima o dopo il 7 marzo del 2015».

Questi lavoratori sono oggi 3 milioni e mezzo ma sono in continuo aumento, quindi sempre più lavoratori saranno in balia di ipotetiche scelte unilaterali e illegittime delle aziende.

«Se si vota sì, abrogando questa norma, si elimineranno i licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo, ristabilendo un’uguaglianza di tutela tra i lavoratori».

Più tutele per i dipendenti delle piccole aziende

Referendum 2, scheda arancione: indennità di licenziamento illegittimo

Oggi un lavoratore che viene licenziato senza giusta causa in un’impresa con meno di 16 lavoratori ha diritto solo a un indennizzo che ha un tetto massimo ben preciso: 6 mensilità dell’ultima retribuzione.

Il referendum chiede di abrogare questo limite – non tocca minimamente altre parti della legge – e di lasciare a un giudice, caso per caso, la decisione riguardante l’entità dell’indennizzo, tenendo conto di alcune caratteristiche del lavoratore (per esempio, età o carichi familiari) e dell’azienda (esempio, la gravità della violazione o l’effettiva situazione economica).

Il tessuto produttivo italiano è composto per il 92,51% da piccole e medie imprese, che impiegano una consistente fetta della popolazione italiana «La legge attuale presume che le piccole imprese siano anche le più fragili economicamente – commenta Andolfatto –. Tuttavia con l’avvento delle nuove tecnologie, intelligenza artificiale in testa, questa equazione potrebbe essere sempre meno vera, visto che le aziende, tecnologicamente più avanzate, tendono ad essere anche sempre più leggere e piccole». Quindi una valutazione caso per caso potrebbe portare a un rapporto più equo tra azienda e lavoratore.

Lotta alla precarietà

Referendum 3, scheda grigia – contratti a termine

Oggi la disciplina dei contratti a termine permette al datore di lavoro di instaurare un rapporto a termine fino a 12 mesi senza obbligo di causali, che giustifichino il ricorso al lavoro temporaneo. In questo modo il contratto a termine invece di essere un’eccezione è diventata la regola, portando a un aumento esponenziale della precarietà.

Con l’ipotetica vittoria dei sì, il contratto a termine rimane immutato, ciò che cambia è solo l’obbligo di indicarne la motivazione. «Con questo cambiamento – spiega Laura Nota, psicologa dello sviluppo, docente all’Università di Padova – il referendum mira a diminuire il ricorso al contratto a termine, per dare spazio a quelli che dovrebbero essere i contratti “normali”, ovvero quelli a tempo indeterminato». E continua: «La disciplina di oggi è frutto della tendenza del neoliberismo a ridurre le regole, a promuovere la liberalizzazione. Ma dobbiamo chiederci quale liberalizzazione e per chi. Nel tempo il problema del precariato, prima molto sentito, è uscito dall’attenzione pubblica e da quella dei ricercatori, diventando sempre più un fatto privato, gestito individualmente. Una situazione divenuta “normale”, che in realtà nasconde grandi disagi».

Contro le stragi sul lavoro

Referendum 4, scheda rosso rubino – responsabilità del committente

In caso d’infortunio sul lavoro negli appalti, le norme attuali impediscono di estendere la responsabilità all’impresa appaltatrice. Quindi le imprese possono appaltare molti lavori ma non esserne responsabili in caso d’incidente. «È importante capire che in questo Referendum non si interviene sul Job Act ma sul Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro – spiega Roberto Reale, giornalista ed esperto di nuove tecnologie –. Una revisione necessaria perché ormai, specie nelle grandi commesse, s’intrecciano una giungla di appalti e subappalti, con rischi che si accumulano, mentre il committente è deresponsabilizzato. Una condizione che favorisce le stragi sul lavoro, una vera piaga del nostro Paese».

Referendum 5, scheda gialla – cittadinanza

Il quinto referendum vuole dimezzare da 10 a 5 gli anni di residenza legale in Italia che servono a richiedere la cittadinanza italiana per tutti gli stranieri non appartenenti all’Unione Europea. Per capire esattamente il quesito è opportuno tener presente tre elementi: il primo, «È bene dirlo chiaro – continua Reale – questo cambiamento non ha nulla a che fare con lo jus soli, lo jus sanguinis, o lo jus scholae, i requisiti per la cittadinanza rimangono sempre gli stessi, conoscenza della lingua, assenza di carichi penali, reddito certo». S’interviene solo sul numero degli anni che ci vogliono per ottenere la cittadinanza: «E anche questo non è nulla di nuovo, perché fino al 1992 gli anni di residenza legale richiesti erano cinque, ma poi la paura dei “barconi” ha prevalso sulla ragionevolezza». Il terzo punto è di natura burocratica: «Dopo i 10 anni, in genere ce ne vogliono altri 3 per espletare tutte le pratiche burocratiche necessarie. Quindi in realtà si passa da 13 anni a 8 per ottenere la cittadinanza». Anni preziosi, per esempio per un ragazzino che non può andare in gita all’estero con i suoi compagni perché non ha i documenti necessari.

A fare la sintesi del senso di questo voto è Fabrizio Barca, economista e coordinatore del Forum Diseguaglianze e Diversità: «Questi 5 referendum, molto concreti, rappresentano un’occasione duplice per tutti noi; da un lato torniamo a capire che possiamo cambiare le cose con un voto; questa volta, infatti, non c’è mediazione, non dobbiamo eleggere rappresentanti ma prendere decisioni concrete, che correggono gravi errori che la politica ha fatto a partire dagli anni ’90. Dall’altro ciò che voteremo produrrà effetti concreti che andranno a migliorare la vita nostra e di milioni di persone».

Si vota domenica 8 giugno, dalle 7.00 alle 23.00 e lunedì 9 giugno, dalle 7.00 alle 15.00.

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Data di aggiornamento: 31 Maggio 2025
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