Proprio nei giorni più difficili della pandemia è uscito questo volume di fratel Luciano Manicardi, dal 2017 priore della comunità di Bose. Pagine che affrontano un tema di grande attualità sempre, ma in quei giorni anche di urgente e drammatica attualità: la fragilità. Perché è stata la fragilità colei che per prima abbiamo incontrato nei giorni del confinamento. Ci siamo scoperti vulnerabili, limitati, esseri umani «di vetro» (per citare lo psichiatra Vittorino Andreoli) pronti a spezzarsi da un momento all’altro.
Manicardi invita a guardare alla fragilità con occhi differenti – avvertendo da subito i lettori che non intende farne un’apologia –, perché lo «sguardo umano sulla fragilità» è capace di cogliere non solo la precarietà di questa condizione, ma «anche la preziosità del volto segnato dal male, del corpo ferito, della storia spezzata e se ne sente interpellato e chiamato in causa». Chi guarda umanamente la fragilità scopre, infatti, che essa lo riguarda. Sempre. E se dunque la fragilità è un elemento costitutivo dell’umano, che interpella ogni vita esigendo risposte ben chiare, si chiede l’autore, che cosa vogliamo farne? Possiamo immaginare di riuscire a riconciliarci con essa? O farne addirittura un’opportunità per diventare persone migliori e più umane?
Le risposte cui Manicardi approda nel suo cammino sono tutte ovviamente positive. Riscoprirci fragili, infatti, ci porta ad attingere a risorse personali inimmaginabili e che nei momenti di forza non sappiamo di avere. Ci apre all’umano, alla solidarietà, alla creatività, alla resilienza. Ci fa scoprire la bellezza del prendersi cura di noi e degli altri. Ci rende uomini e donne più responsabili nei confronti della propria e altrui vita, ma anche del Creato, verso il quale ci invita ad abbandonare ogni atteggiamento di dominio o supremazia. Insomma, la fragilità ci permette di disegnare una sua vera e propria «etica» e a farlo in modo generativo. Perché quando ci si scopre fragili, è facile ritrovarsi nel bel mezzo di una crisi personale dalla quale rinascere diversi. «Nella crisi – scrive infatti Manicardi – si è chiamati a una morte, a una separazione da una fase precedente a cui ci si era acclimatati (separazione); ci si viene così a trovare in una situazione inedita sentita come precaria, instabile, temibile (liminalità), ma che prelude a un riassetto, a un nuovo adattamento, alla creazione di nuovi equilibri che consentono una rinnovata presenza nel mondo e nella storia (reintegrazione)».
Non c’è da stupirsi, quindi, se il libro approda nel suo finale al riconoscimento della fragilità come «stato di grazia». Perché il problema non è mai la fragilità, ma che cosa di essa decidiamo di farne: «La risposta non viene mai dalla fragilità in sé, ma dallo spirito umano».