I giovanissimi più depressi di 30 anni fa
La pandemia ha segnato tutti, e i giovani in particolare, ma forse sopravvalutiamo l’effetto di chiusure e didattica a distanza: le difficoltà psicologiche dei ragazzi erano già evidenti, e in una netta traiettoria di peggioramento, da ben prima che il coronavirus arrivasse a sconvolgere le nostre vite. Lo testimonia uno studio pubblicato su «Lancet Psychiatry», che ha preso in considerazione l’andamento nel tempo di problemi emotivi come ansia e depressione, riferiti dai genitori di bambini piccoli e poi via via fino all’adolescenza e alla maggiore età. Per verificare se è cambiato il benessere mentale dei più giovani durante il loro sviluppo alla fine del secolo scorso e all’inizio di questo, un gruppo di ricercatori di diverse università britanniche ha messo a confronto i dati raccolti nel corso di un’indagine che ha seguito la crescita di bambini nati tra il 1991 e il 1992 (l’Avon Longitudinal Study of Parents and Children, ALSPAC) e quelli provenienti da una più recente, il Millennium Cohort Study, sui piccoli venuti al mondo alla soglia del nuovo millennio, tra il 2000 e il 2002, appunto. In tutto si parla di quasi 20 mila soggetti, equamente distribuiti per sesso alla nascita, i cui genitori avevano compilato periodicamente negli anni questionari che riguardavano, tra le altre cose, eventuali punti di forza e di difficoltà emotiva dei loro figli.
Da queste risposte è emersa una significativa differenza tra le ragazze e i ragazzi arrivati intorno ai 18 anni all’inizio della pandemia e quelli di dieci anni più grandi. I nati all’inizio del millennio hanno infatti cominciato a manifestare i primi segni di disagio già dai 9 anni di età, molto prima dei fratelli o cugini più grandi, venuti al mondo all’inizio degli anni Novanta. A partire dagli 11 anni, poi, la frequenza e l’intensità dei problemi emotivi nella generazione più recente cresce molto di più, e prosegue più a lungo, che in quella precedente. Il fenomeno riguarda in maniera più marcata le adolescenti femmine, il cui malessere cresce prima e più che nei maschi. Tra i limiti dello studio va segnalato il fatto che non abbia gli elementi per distinguere ansia, depressione o altre situazioni di disagio, che possono avere diverse cause e diverse cure.
Una questione da affrontare
La ricerca si limita a descrivere il fenomeno, senza addentrarsi nelle possibili cause: cambiamenti sociali o nella composizione delle famiglie, accesso al mondo digitale, contesto culturale, aspettative da parte della scuola, competitività crescente sono alcune delle possibili spiegazioni su cui tuttavia gli autori non prendono posizione. Si limitano a sottolineare quanto la salute mentale dei più giovani sia ormai una questione che non si può ignorare, con il 9 per cento dei ragazzi tra gli 11 e i 16 anni che nel Regno Unito nel 2017 avevano i criteri per una diagnosi di ansia o depressione contro il 5 per cento del 2004. Non basta, quindi, continuare a ripeterci che non si tornerà alla didattica a distanza. La questione è più complessa, e non si può più eludere, né rimandare.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!