I primi frati a Padova
Quando e perché arrivarono i frati minori nel territorio padovano? Una domanda che intreccia storia e geografia di una presenza e che nei secoli ha destato la curiosità dei devoti di sant’Antonio, nonché degli storici del francescanesimo. Stando alle biografie, le terre venete furono visitate dallo stesso san Francesco di ritorno dall’Oriente (1221 circa), come ricorda san Bonaventura nella Legenda maior (Fonti Francescane 1101 e 1154). Questi passaggi di Francesco sono segnati dalla predicazione e non sembrano in alcun modo lasciar intendere che egli abbia fondato comunità di frati. Tuttavia, qualche presenza di frati minori nel territorio padovano è documentata in un manoscritto che ora si trova presso la Biblioteca Capitolare di Padova (D 52): attorno al 1225, i frati minori sono ricordati negli Statuti di Pernumia, un paese ai piedi dei Colli Euganei, a circa 20 km a sud di Padova.
Chiamati dagli stessi abitanti del luogo per la predicazione di casa in casa, i frati minori sono ricordati in questi statuti poiché per motivi apostolici abbandonarono il terreno che era stato affidato alle loro cure, la cui gestione ritornava così nelle disposizioni della cittadinanza. Spinti sempre dall’apostolato, i frati minori arrivarono a Padova tra il 1227 e il 1229; a loro il vescovo locale affidò una modesta e povera chiesetta, dedicata alla Madre di Dio, alle porte della città: un oratorio semplice, che alcuni biografi ricordano inizialmente provvisto di un tetto fatto di canne e di paglia, al quale doveva essere annessa un’abitazione semplice per i frati. Qui frate Antonio fu superiore provinciale nel triennio 1227-1230 e si dedicò alla stesura finale dei suoi sermoni.
Incerte e discontinue sono le informazioni sui frati che dimorarono in questo luogo. Quanto si conosce è legato in particolar modo alla narrazione che si rinviene nelle prime biografie di Antonio o ad alcuni documenti superstiti, quali la bolla di canonizzazione del Santo nel 1232. Si ricordano il padovano Luca, della nobile famiglia dei Belludi, compagno di sant’Antonio, i frati Ruggero, Vinoto, Gerardo, Spinabello, Geremia e Sopramonte. Con ogni probabilità, i frati presenti in questa primitiva comunità non dovevano essere superiori a dieci. Alcuni erano certamente sacerdoti, come ci ricorda la Vita prima o Assidua, attivi durante la grande predicazione quaresimale del 1231. Alla comunità legata all’oratorio dedicato alla Madre di Dio si aggiungevano poi i frati che prestavano il loro servizio pastorale presso il monastero delle Povere Dame o Clarisse, sito in un altro punto della città patavina, l’Arcella.
Lo stile di vita doveva essere improntato alla frugalità prescritta dalla Regola di vita che san Francesco aveva pensato per i suoi frati. Dediti alla preghiera, con umiltà assistevano bisognosi e malati, pronti alla predicazione itinerante; i minori si inserirono ben presto in un tessuto sociale come quello di Padova, fortemente provato da aspre tensioni politiche. In questa città, sant’Antonio trovò un terreno di considerevole valore e di grandi speranze, che gli offriva quotidianamente occasione di pronunciare una parola di pace, secondo lo spirito evangelico. Seppe denunciare l’avarizia dei ricchi, l’usura contro i poveri, violenze e abusi contro gli indifesi, persuadendo i padovani che il progresso civile e politico, nonché una condotta di vita dignitosa, non dovevano distogliere l’attenzione verso chi era ancora in una situazione meno abbiente.
Questo modello di vita attuato da Antonio orientò quello dei primi frati di Padova e, più generalmente, dei minori dell’alta Italia, che pure nella povertà e semplicità personale abbracciarono l’impegno pastorale nello stile e nel fervore del loro confratello. Le circostanze vissute, quindi, indussero la comunità di Santa Maria a seguire la via battuta da sant’Antonio. Superate felicemente le vicende cittadine per riavere il suo corpo, tumulato nella loro chiesa, vissero giorni memorabili con i pellegrinaggi di tutti i ceti sociali della città e della Marca trevigiana al sepolcro, l’immediata esplosione dei miracoli, documentati dalle antiche biografe del Santo, senza dimenticare il concorso tra la curia vescovile e il comune nel perorare al Papa la canonizzazione di Antonio, felicemente coronata a un anno di distanza dalla morte, il 30 maggio 1232 a Spoleto, con il solenne riconoscimento della sua santità da parte del pontefice Gregorio IX.
La proclamazione della santità di Antonio, le continue grazie attraverso i miracoli, diedero la piena consapevolezza alla prima comunità di frati padovani di dover custodire la memoria delle meraviglie operate da Cristo in Antonio, di rendere concreto il suo insegnamento, di accogliere, consolare ed evangelizzare le persone che desideravano incontrare le spoglie mortali del Santo. Questo divenne il loro principale ministero e su questo impostarono l’attività pastorale, ampliando progressivamente la loro presenza numerica, non solo nella città di Padova: nell’anno 1238, ossia a soli sette anni dalla morte di Antonio, un certo Buffonus de Bertholoto, il giorno 9 agosto, dettava le sue ultime volontà testamentarie. Grazie ai precisi legati a diverse istituzioni caritative e comunità religiose ivi contenuti nel suo testamento, sappiamo che alla data erano ben sei le comunità francescane attive nel territorio padovano (Este, Montagnana, Monselice, Piove di Sacco, Camposampiero, Curtarolo), oltre alle tre presenti in città (conventi S. Maria Madre di Dio, Arcella e monastero delle Clarisse dell’Arcella).
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