Il Codice della svolta
Gli anniversari sono utili nella misura in cui ci aiutano a ripensare il futuro. Un tornare indietro per andare avanti, per farci scoprire che il mondo può cambiare anche quando tutto sembra perduto. Un anniversario che ha questo spirito è quello per gli 80 anni del Codice di Camaldoli, uno dei documenti più innovativi non solo per la Chiesa ma per l’intera Italia, pensato, voluto, redatto, da un gruppo di giovani intellettuali cattolici, durante la tenebra del Secondo conflitto mondiale per dare un contributo alla costruzione di una società nuova. Un documento che più che un codice è la sintesi di una discussione accorata per calare i principi della dottrina sociale della Chiesa nella carne viva della società. Era la prima volta che ciò accadeva in modo così esplicito. Ed era la prima volta che giovani laici si prendevano la responsabilità di essere il motore di una svolta epocale. In questo modo, i princìpi e i valori scendevano dagli scaffali impolverati dei teologi, per diventare vita vissuta: dalla concezione dell’essere umano a quella dello Stato, dalla famiglia all’economia, con tutte le contraddizioni e i conflitti che un’operazione di questo genere poteva comportare in una Chiesa che fino a quel momento era stata ai margini della scena pubblica, ingessata nei suoi principi irrinunciabili, incapace di comunicare con la modernità. Una svolta che sarà decisiva anche per i lavori dell’Assemblea costituente e che ancora riverbera nella Costituzione.
Il Codice di Camaldoli prende il nome da un convegno organizzato nel monastero benedettino di Camaldoli (Arezzo) dal 18 al 24 luglio del 1943, ma in realtà ha una lunga gestazione, prima e dopo quel mitico convegno. «Già alla fine del 1942 – racconta Tiziano Torresi, docente di Storia contemporanea all’Università di Roma 3 e anima del convegno che dal 21 al 23 luglio di quest’anno ha celebrato l’anniversario, alla presenza del capo dello Stato Sergio Mattarella e del presidente della Cei, Matteo Maria Zuppi – c’era molto fermento nel mondo cattolico, si moltiplicavano le iniziative culturali e i cenacoli clandestini. C’erano i segni che il regime stava scricchiolando e la consapevolezza che la caduta del fascismo sarebbe stato un momento delicatissimo per l’Italia».
Siate pronti, è giunta l’ora
Il percorso del Codice segue i fatti serrati di quei mesi. Tutto comincia dall’audiomessaggio di papa Pio XII alla vigilia del Natale del 1942: «Non lamento ma azione è il precetto dell’ora. Non lamento su ciò che è o che fu ma ricostruzione di ciò che sorgerà». Il messaggio era diretto ai laureati cattolici, che risposero subito partecipando al convegno organizzato a Roma dai Laureati di Azione Cattolica l’8 gennaio del 1943, durante il quale il vescovo Adriano Bernareggi, loro assistente, chiaramente disse: «I cattolici devono uscire dalla torre d’avorio della verità posseduta per andare incontro a quanti cercano la verità». Non temere il confronto con la realtà, con la storia e con gli altri, dentro e fuori il perimetro del mondo cattolico, diventa il nuovo orientamento. È in questo brodo di coltura che l’idea del convegno di Camaldoli prende forma. A esso sono invitati a partecipare economisti, teologi, giuristi, filosofi in gran parte ventenni, scelti in base alle competenze e invitati per confrontarsi, studiare, aggiornarsi. L’attesa è grande, perché si tratta del debutto della Chiesa nella sfera della società contemporanea, in tempi densi d’incertezza. Una grande sfida. Il secondo giorno del convegno, il 19 luglio, piomba sull’assemblea la notizia del bombardamento di Roma da parte degli americani; «il precipitare dei fatti cambia le prospettive del Codice: non sarà più un documento di sintesi, ma il contributo dei cattolici alla nascente società». Il 25 luglio il fascismo cade. L’ora è arrivata, non si può perdere tempo.
La rielaborazione di quanto raccolto a Camaldoli viene fatta nell’inverno oscuro della Roma occupata: «Per salvare il salvabile – continua Torresi – si forma un piccolo gruppo di redazione di cui fanno parte alcuni gesuiti della Gregoriana, Sergio Paronetto, il regista dell’operazione, e Pasquale Saraceno, entrambi dirigenti dell’Iri, con il contributo del giurista e filosofo Giuseppe Capograssi. In particolare Saraceno, inforcata la sua bicicletta, le bozze del Codice sotto il braccio, fa la spola tra le abitazioni, divenute centri di resistenza clandestini». Il Codice, per varie vicende, vedrà la luce solo nel 1945, in corrispondenza della Liberazione. Uscirà per l’editrice Studium, con il titolo significativo «Per la comunità cristiana. Principi per l’ordinamento sociale» una bozza aperta e perfettibile, un invito alla discussione più che un codice, che prende il nome «di Camaldoli» solo tempo dopo.
Un’azione così complessa e coraggiosa attira sui giovani di Camaldoli molte critiche, anche da parte di pezzi della Chiesa. I teologi in particolare la trovano un’operazione troppo audace e invocano una «purezza dottrinale – sono parole del cardinal Zuppi – che avrebbe reso impossibile qualsiasi scelta». Al contrario, l’iter plurale del Codice di Camaldoli permetterà ai cattolici di confrontarsi alla pari con le altre culture politiche, quella laica azionista, la liberale, la socialista, la comunista all’interno dell’Assemblea costituente. «Il fascismo aveva cambiato totalmente la Chiesa – spiega Torresi –; si era passati dal rifiuto dello Stato e della vita politica del non expedit a una sorta di corteggiamento reciproco, interessato e guardingo, tra regime e Chiesa, alla proclamazione dell’Italia come Stato cattolico, fino a un progressivo allontanamento nei fatti, all’entrata dei cattolici nella resistenza, alla consapevolezza della necessità di una libera Chiesa in un libero Stato, fino alla scelta della democrazia, dichiarata anche da Pio XII».
Ora i cattolici sono pronti. Non intendono imporre verità a chicchessia o difendere identità e valori non negoziabili, hanno elaborato una proposta di società pensata non solo per i cattolici ma per il futuro dell’Italia, alla quale – ci tengono fin dall’inizio a precisarlo – non vogliono dare alcuna intenzione politica. La offrono come un contributo alla discussione. «Una metamorfosi clamorosa, dettata dagli insegnamenti della storia, che tutti gli estensori del Codice di Camaldoli avevano vissuto sulla propria pelle». Nessuno ci avrebbe scommesso.
Le tracce di questo percorso sono evidenti nella Costituzione. «L’architettura intera della Carta costituzionale poggia su un concetto, fortemente sostenuto dai cattolici: la persona con la sua dignità e irripetibilità è al centro, anzi, viene prima dello Stato». Non solo, dopo gli anni bui del totalitarismo, i cattolici si inventano «lo Stato propositivo». Spiega il professore: «Lo Stato non è più un’entità imperscrutabile o qualcosa da cui difendersi. È un attore fondamentale che ha il dovere d’intervenire in modo creativo e propositivo per difendere gli uomini e le donne dalle diseguaglianze dovute al sesso, alla razza, alla religione o dalle sperequazioni del mercato. Lo Stato veglia anche sulle libertà, da quella personale a quella politica, e sulla giustizia sociale». Tutti concetti che confluiscono nell’articolo 3. Non solo, i cattolici insistono sull’importanza dei corpi intermedi, ovvero quelle strutture sociali come partiti, sindacati, associazioni in cui la personalità umana si possa esprimere in tutta la sua potenzialità. «Con queste innovazioni i cattolici mirano a evitare due derive, quella dello Stato assoluto e quella dell’individuo che agisce da solo, come un atomo». La via maestra è la condivisione, il confronto, la corresponsabilità, in una parola «il noi».
Oggi con la guerra in Ucraina, quella in Israele e tutti gli altri conflitti di questa «guerra mondiale a pezzi» ci sentiamo ancora una volta sull’orlo della tenebra. Le sfide sociali, climatiche, tecnologiche sono enormi e abbiamo la sensazione di essere sommersi dagli eventi, per giunta lasciati soli da una politica superficiale, da un’economia che ha perso l’anima, da una democrazia che sta cadendo a pezzi, mentre la Chiesa sembra aver smarrito lo slancio profetico. Dov’è Camaldoli? «Non c’è un periodo migliore degli altri – chiarisce Torresi, dalla sua prospettiva di storico –, la svolta è sempre, la sfida è sempre. Un compito importante dei cattolici di oggi è ritornare a ragionare intorno a un tavolo come hanno fatto i giovani di Camaldoli, non avere paura del confronto, non vivere di ricordi o giocare in difesa. Il vero nemico della democrazia oggi si chiama semplificazione, perché non permette alle persone di avere consapevolezza di cosa stia realmente accadendo e di ciò che si può fare insieme per risolvere i problemi. In questo modo può radicarsi l’idea che un cambiamento non sia alla nostra portata. Recuperare la realtà in tutte le sue sfaccettature, riabituare al confronto, trovare i modi per reinterpretare in modo creativo e originale il nucleo del messaggio cristiano potrebbero essere gli obiettivi di una nuova Camaldoli».
Secondo il professore, oggi ci sono almeno due iniziative nella Chiesa che vanno in questo senso: la prima è il cammino sinodale intrapreso da molte diocesi, la seconda è il cantiere della settimana sociale del prossimo anno, che si svolgerà a luglio a Trieste, e che non a caso avrà al centro il tema della democrazia. «La frontiera della cultura – conclude Tiziano Torresi – sarà sempre più importante per i cattolici. La cultura e il coraggio di innovare. Se andiamo indietro nella storia, possiamo verificare che i cattolici hanno fatto la differenza non quando si sono aggrappati al passato, ma quando hanno creato cose nuove. Il segreto è fare onore alla propria fede, facendo onore alla propria intelligenza».
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