Il mare sta arrivando
Con lo sguardo disperso nel vuoto, un operaio si appoggia al pilastro di quel che resta della scuola Cheick Tourè a Saint-Louis, in Senegal. Poco più di cinque anni fa, quelli che adesso sono cumuli di macerie erano classi piene di studenti, fino a quando, nel marzo 2018, le onde del mare hanno distrutto tutto. La scuola era stata chiusa preventivamente in seguito a un’allerta meteo, e solo per questo le conseguenze non sono state più tragiche. Oggi sono in corso i lavori per la demolizione definitiva di quell’edificio scolastico che costituisce ancora un pericolo per i passanti.
La scuola Cheick Tourè si trova nella «Langue de Barbarie», una sottile striscia di terra situata nella parte occidentale del Senegal, un’area fortemente minacciata dall’innalzamento del livello del mare generato dai cambiamenti climatici (scioglimento dei ghiacciai e riscaldamento globale). A Saint-Louis vivono circa 80 mila persone, l’80% delle quali a pochi metri dal mare. Molte di queste hanno visto le loro case inghiottite dalle onde, e così sono state costrette a trasferirsi nei campi temporanei di Djougop e Khar Yalla, dove le condizioni di vita non sono per niente agevoli. Nel campo di Djougop le persone vivono in tende anonime, senza elettricità, acqua corrente e con i servizi igienici in condivisione.
La vita minacciata
In Senegal i cambiamenti climatici hanno ripercussioni importanti anche sulla pesca, che rappresenta il 3,2% del prodotto interno lordo del Paese. L’aumento della temperatura dell’acqua provoca mutamenti nell’ecosistema marino (cambiamenti nelle migrazioni e nelle abitudini di molte specie di pesci) che, in aggiunta alla pesca intensiva praticata dai pescherecci stranieri, sta riducendo le risorse ittiche del Paese. Così il lavoro per i senegalesi sta diminuendo sempre di più, costringendo molti giovani ad abbandonare la loro patria in cerca di un futuro migliore.
Uno di quelli che ha provato a lasciare casa è Ndiagamar, un ragazzo di 19 anni che, nell’agosto 2023, si è affidato a dei trafficanti per provare a raggiungere la Spagna. «I rischi legati all’innalzamento del livello del mare sono tantissimi – mi racconta –. Vedi? La mia casa si trova a pochi metri dal mare, tra qualche anno potrebbe non esserci più. Il lavoro è sempre di meno. Che cosa ne sarà del mio futuro? Riuscirò mai a realizzarmi?».
Così Ndiagamar un giorno ha pagato 400 mila franchi senegalesi per iniziare la sua fuga verso una nuova vita. Ma qualcosa è andato storto. «Mentre eravamo in viaggio, il mare ha iniziato a diventare sempre più agitato. Così, quando la barca è arrivata tra il Marocco e la Mauritania, la persona che guidava è tornata indietro. Ovviamente nessuno mi ha restituito i soldi che avevo pagato». Ndiagamar è consapevole dei rischi che questo viaggio comporta, ma, nonostante tutto, vuole riprovarci, perché i soldi che guadagna adesso – circa 1.500 franchi al giorno vendendo caffè per le strade di Saint-Louis – non gli bastano per condurre una vita dignitosa. La popolazione locale chiama il viaggio verso l’Europa «Barça ou barsakh», che significa «Barcellona o morte».
Passeggiando lungo la spiaggia della «Langue de Barbarie», si capisce bene che di lavoro ce n’è davvero poco. Decine di uomini aspettano il trascorrere delle giornate stando seduti a terra, sotto delle capannine di fortuna che li riparano dal sole cocente delle ore di punta.
Se lungo le spiagge di Saint-Louis molte famiglie vivono nell’incertezza di quello che sarà il loro futuro, poco distante c’è un posto che è quasi sparito del tutto. Si tratta del villaggio di Doune Baba Dieye, un tempo abitato da una vibrante comunità di pescatori, ma che nel 2003 è stato in parte sommerso dall’acqua a causa delle forti piogge che hanno portato a inondazioni nell’entroterra e a un innalzamento del livello del mare. Per raggiungerlo salgo sulla barca di Mar Diop, un ragazzo di 24 anni che fa il pescatore e conosce bene quel luogo. «Guarda quegli alberi – mi dice prima di arrivare sulla terraferma –. Vent’anni fa si trovavano al centro del villaggio, adesso sono stati inghiottiti dal mare». Il paesaggio è spettrale, sembra il set di un film dell’orrore. Arrivati a terra, ci incamminiamo e intorno a noi ci sono soltanto erbacce o edifici distrutti. «Quel muro di fronte a te prima era la parete di una casa – esclama Mar Diop –. Le persone in questo paese dipendono dalla volontà del mare».
A Bargny, un comune di settantamila abitanti situato poco più di trenta chilometri a sud di Dakar, la situazione lungo le coste è altrettanto preoccupante e la linea di case più vicina al mare è diventata nel tempo un cumulo di pietre. Anche qui alcuni abitanti hanno provato a costruire delle barriere dalla dubbia efficacia, legando tra di loro una serie di pneumatici. Un segno evidente del loro stato di abbandono da parte dello Stato, che al momento sembra non avere le idee molto chiare su come provare a contenere i danni provocati dai cambiamenti climatici.
Djibrilwade è un uomo di 56 anni che vive in una casa a pochissimi passi dal mare, costruita dal padre negli anni Novanta. «Due o tre volte all’anno l’acqua entra in casa», mi racconta con l’aria un po’ rassegnata. A Bargny l’erosione costiera è iniziata nel 1980, ma è peggiorata all’inizio degli anni 2000. Le tempeste sono diventate molto più frequenti e aggressive, come il passaggio dell’uragano Fred durante la notte del 30 agosto 2015. Djibrilwade, come molti suoi concittadini, ha paura, ma dalla sua casa non si muove: «Anche se volessi scappare, non avrei un altro posto dove andare».
Un’erosione continua
Mentre cammino sul bagnasciuga di Bargny, mi accorgo che da lontano un ragazzo, con in braccio un bambino molto piccolo, sta cercando di raggiungere la spiaggia. Per farlo, deve percorrere una discesa dissestata, tra sassi, sabbia, travi di legno, e poi passare accanto alle fondamenta delle case di fronte al mare. Sono visibili a occhio nudo. Le onde le stanno distruggendo un poco alla volta, come tutto quello che trovano lungo la loro strada. Più in là, in mezzo al mare, c’è un gruppetto di bambini intenti a giocare sugli scogli. Quasi sicuramente nessuno di loro sa che quelle pietre, nel lontano 1988, facevano parte di una barriera costruita dalle persone del posto per provare ad arginare il mare. Il tempo ha dimostrato che quegli sforzi sono stati del tutto inutili, visto che l’acqua l’ha sovrastata senza nessun problema.
Sebbene molte persone provino a essere ottimiste, ogni anno il Senegal perde circa cinque metri di costa e il pericolo per la popolazione cresce sempre di più. Secondo gli esperti, il livello del mare lungo le coste occidentali dell’Africa salirà ogni anno di quattro millimetri, costringendo migliaia di persone ad abbandonare le loro case attuali.
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