«Ci vuole molto coraggio per accettare la giornata delle moltitudini di sofferenze. Il tuo sguardo tra le sbarre della cella che ti “ospita” smarrito si sfuoca, già stanco, dentro di te. Da subito c’è rabbia, ribellanza di tutto. I miei guai fatti un tempo in libertà sono ricaduti su di me, mi sento sconfitto dai miei stessi errori (peccati), solo, abbandonato, indifeso, tutti mi calpestano, quasi fosse una vendetta del sistema. Devo subire colpe pesanti e dure per il male fatto. Non c’è scampo, devo soffrire, per alcuni marcire, per altri morire. Il dolore è tanto, fatico a farcela, chiedo aiuto, il silenzio mi circonda, richiedo aiuto, mi guardo attorno, non c’è nessuno, anzi una piccola immagine molto più sofferente delle mie angosce. Cosa potrà fare un pezzo di carta per il mio grido di aiuto? Qualcosa di strano mi succede. Continuo a guardare l’immagine, sembra che mi guardi, voglia dirmi qualcosa, allora cerco di vederci chiaro, mi sento meglio, mi lascio guardare, quello sguardo di tenerezza lo sento dentro di me, mi accoglie, mi fa coraggio, la speranza quasi spenta e indebolita si ravviva, diventa forte, la accolgo, lasciandola crescere, in questo sguardo di carta mi sono lasciato abbracciare affidandomi senza tanti perché. L’immagine di carta è quella di Gesù sofferente sulla Croce, la corona di spine, i chiodi, le ferite del suo corpo mi hanno confortato, mi sono sentito una semplice lacrima del suo infinito amore, questa è l’esperienza più bella che abbia ricevuto dalle ferite del male, la misericordia dell’amore di Dio, la liberazione dai peccati e dalla loro schiavitù. Le afflizioni sono diventate occasione di riconciliazione con me stesso, quindi con Dio e coi fratelli. Gesù nel suo infinito amore non lascia perdere nessuna lacrima. Ogni goccia del nostro sangue non ritorna a lui senza portare frutti abbondanti. Passo attraverso la porta santa della cella nel carcere. Pellegrino tra le sbarre».Lettera firmata Caro amico, grazie. Il tuo racconto schiettamente realistico, crudo, conferma che la speranza si muove dove vuole, soffia fin dentro gli angoli più remoti, libera, senza tener conto di sbarre e mura di recinzione. Quello sguardo di cui parli ama proprio venire a pescarci quando proviamo un sentimento di «ribellanza», come dici tu. Quando non vediamo nessun orizzonte, e ci identifichiamo con la nostra ristretta condizione del momento dibattendoci, senza essere in grado di uscirne. Per fortuna Gesù è venuto per i peccatori e per i disperati! E lo siamo tutti, sia chiaro. Bisognosi di perdono e di misericordia, di consolazione e di essere rimessi in piedi. Non è la prima volta e non sarà l’ultima che lo sguardo del crocifisso si rivolge a un fratello «ladrone», se così mi permetti di chiamarti, anche se non so quale reato ti costringa in carcere. E nemmeno mi interessa, come d’altra parte non interessò nemmeno a quello sguardo che ti venne comunque a cercare nella tua solitudine. Del resto il primo santo in paradiso è stato un santo ladrone, un brigante canonizzato nientemeno che da Gesù stesso, e per giunta da vivo e che tale restò (vivo e santo) per un po’, come racconta in particolare l’evangelista Luca. Esagerata e comunque gratuita la misericordia di Dio! A noi non resta che ringraziare, come ci invita a fare anche san Francesco, che rivolto a sé diceva: «Se l’Altissimo avesse concesso grazie così grandi a un ladrone, sarebbe più riconoscente di te, Francesco!» (FF 717). Siamo tutti pellegrini, in carcere, in casa, in convento, per le strade del mondo e dell’esistenza.
Immagine: Archivio MSA
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