Misericordia è accogliere i pellegrini
Dal mazzo delle sette opere di misericordia corporale estraiamo questa volta la quarta, che recita: «Alloggiare i pellegrini», senza dire chi debba essere considerato «pellegrino» e quindi tale da essere accolto.
Attorno al nome, nel tempo, si sono sedimentati diversi significati che i moderni dizionari registrano all’incirca così. Pellegrino è sia lo straniero, il forestiero, l’errante che per i più diversi motivi si sposta da un luogo all’altro, sia chi, per devozione, si reca in santuari, in luoghi resi sacri dalla presenza del divino.
Più esplicito il significato che ne dà la Bibbia. Nel testo sacro pellegrino è lo straniero o l’ospite che può anche arrivare improvviso, al quale si deve andare incontro prima ancora che giunga a bussare all’uscio, pronti ad accoglierlo, a lavargli i piedi, ad amarlo. Come fa Abramo, che si precipita incontro ai tre che vede avvicinarsi da lontano al suo accampamento alle Querce di Mamre.
Per la Sacra Scrittura, straniera è la stirpe umana sulla faccia del mondo «perché mia è la terra e stranieri e ospiti siete voi presso di me», dice Jahvé nel Levitico (25-23).
L’essere forestiero è allora la condizione di partenza di tutti, la premessa, senza la quale è facile ubriacarsi, prendersi per padroni del suolo, dell’aria e del fuoco e spartirsi tra pochi le quote abusive del condominio del mondo.
Alla luce di ciò, è chiaro che «pellegrino da accogliere» è anche chi, a causa di ciò che tragicamente sta avvenendo di questi tempi, bussa ai nostri usci chiedendo ospitalità per non soccombere, e ritrovare per sé e i propri figli una speranza di vita.
Pellegrino, come si diceva, è anche chi per fede e devozione impugna, oggi solo idealmente, il «bordone», cioè il bastone del romeo, per raggiungere luoghi dove la potenza divina si è manifestata con prodigiosi interventi, spesso sollecitati dall’intercessione dei santi; luoghi diventati per questo «santuari», dove più forte è la presenza di Dio e più facile incontrarlo.
La Basilica, meta divina
La Basilica del Santo è uno di questi «spazi sacri». Anche architettonicamente essa ha le caratteristiche di chiesa di pellegrinaggio, con l’ampio ambulacro creato apposta per consentire l’ordinato flusso dei pellegrini. Vi sono altri elementi, sia pure piccoli e inosservati, legati al rito del pellegrinaggio.
I devoti, ancor oggi, dopo aver pregato sulla tomba del Santo, proseguono il cammino costeggiando l’elegante recinto marmoreo che divide l’ambulacro dal presbiterio. Alzando lo sguardo possono vedere, inserita in un susseguirsi di arcate e, in basso, ai lati di bassorilievi di anfore in marmo rosso borgogna, una lunga serie di conchiglie, classico simbolo del pellegrinare. La conchiglia è la «capasanta» che i fedeli medievali, dopo essere stati al santuario di Santiago di Compostela, andavano a raccogliere sulla spiaggia di Finisterre, il limite del mondo allora conosciuto, per certificare il viaggio compiuto, quasi un timbro di convalida sul loro carnet di romei.
Lo stesso motivo, creato dallo scultore Giovanni Minello (fine del Quattrocento), è ripetuto nelle cortine marmoree all’interno del presbiterio e qua e là in altri luoghi del santuario. Conchiglia e «bordone» ornano anche la statua di san Giacomo Maggiore, posta da Andriolo De Santi (secolo XIV) assieme ad altre, sull’elegante facciata che introduce nella cappella a lui dedicata. Sulle pareti di questa, Altichiero da Zevio ha raccontato le leggendarie imprese dell’apostolo, pellegrino «post mortem» dalla Palestina alla Spagna, dove prodigiosamente sono approdate le sue spoglie mortali, ora custodite nel santuario di Santiago di Compostela, una delle principali mete di pellegrinaggio d’ogni tempo.
Ha un piccolo spazio nella Basilica antoniana anche un altro celebrato romeo, san Rocco, pellegrino «per voto» dalla natia Montpellier alla tomba degli apostoli Pietro e Paolo. Bastone, mantello, cappello, borraccia e conchiglia sono sempre presenti nei dipinti che lo raffigurano. Assieme al cagnolino che gli salvò la vita mentre era gravemente ammalato, portando ogni giorno un pane all’infermo padrone.
San Rocco è raffigurato, tra altri santi, in due tele presenti in Basilica: una, appesa sul fianco del terzo pilastro, prospiciente la cappella del Santissimo, opera di Ferdinando Suman (sec. XIX); l’altra, di Gian Battista Pellizzari (sec.XVII), nel quinto pilastro della navata sinistra.
La Basilica dunque, chiesa aperta ai pellegrini, attraverso le iniziative promosse dai frati è sempre pronta ad accogliere sia i massacrati dalla vita, che vengono a chiedere il conforto della solidarietà per non finire nel tunnel della disperazione, sia chi vi giunge per fede e devozione.
Questi ultimi sono aiutati a scoprire il lato spirituale del loro cammino. Il pellegrinaggio non deve essere, infatti, vissuto come una scampagnata, ma come un’occasione preziosa – specie in quest’Anno giubilare della misericordia – di ritornare a Dio, accolti e accompagnati da sant’Antonio. Ritrovare e riporre Dio al centro della propria vita, sentendosi da Lui accolti e perdonati come figli prodighi tornati alla casa paterna, predispone all’accoglienza di chiunque bussi alla nostra porta, chiedendo anche solo il conforto della vicinanza, in questa terra in cui tutti siamo «stranieri e ospiti», perché terra non nostra, ma di Dio.
In cammino con sant’Antonio
C’è dell’altro. I frati della Basilica stanno proponendo il pellegrinaggio all’antica maniera, cioè «a piedi», tradotto nel «Cammino di sant’Antonio», con due varianti complementari. La prima, detta «l’Ultimo cammino», conduce i fedeli dai Santuari antoniani di Camposampiero fino al Santo, lungo la strada percorsa da frate Antonio morente il 13 giugno 1231. La seconda, «il Lungo Cammino», riparte dalla Basilica e prosegue attraverso la pianura e l’Appennino Tosco-Emiliano, per giungere al santuario de La Verna, nell’Aretino, dove san Francesco ha ricevuto le stimmate.
Il percorso che, specie nel tratto appenninico, si snoda tra paesaggi di rara bellezza, incontra luoghi segnati dal passaggio e dalla presenza di sant’Antonio: Bologna, ad esempio, dove ha insegnato teologia ai frati; l’eremo di Montepaolo, dove, sconosciuto frate portoghese da poco approdato in Italia, ha trascorso un breve periodo, prima che un’ordinazione sacerdotale nella cattedrale di Forlì gli offrisse l’occasione di manifestare la vastità della sua cultura e la ricchezza della sua dottrina, cambiandogli la vita.
«Il “Cammino di sant’Antonio” – spiega fra Alberto Tortelli, uno degli animatori dell’iniziativa – si inserisce nella grande tradizione francescana dell’itineranza, dell’andare, dell’annunciare, fatta propria dal Santo e nei secoli successivi dal pellegrinare “a piedi” di tanti frati e devoti accorrenti alla sua tomba e sui luoghi segnati dal suo passaggio. Si tratta di un gesto di devozione e di grande carica spirituale mai venuto meno, nonostante i mutamenti storici e il cambio delle sensibilità, e riaffiorato prepotentemente in anni recenti, anche grazie al forte richiamo di altri grandi itinerari, come il “Cammino di Santiago”. Insieme vi è, però, anche il desiderio dell’uomo contemporaneo di riappropriarsi del tempo con ritmi più lenti, di prestare ascolto ai richiami dell’anima, di gustare spazi e modalità di vivere in maggiore semplicità e libertà, di condividere esperienze di essenzialità e bellezza, di un contatto più diretto con la natura, di sperimentare relazioni umane più belle e vere. Il pellegrinaggio a piedi offre per intero tutti questi elementi di “vita buona”, spesso dimenticati nella frenesia e nell’artificiosità di una quotidianità tecnologica e frenetica che tutti un po’ ci opprime e ci isola. La strada, il cammino, il pellegrinare diventano allora anche metafora della vita, esprimendo a pieno il bisogno, da sempre nascosto nel cuore dell’uomo, di verità, libertà, bellezza, bontà e comunione, il bisogno di Dio...».
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Pellegrini in convento
Con la riscoperta di celebri «Cammini», come quelli di Santiago di Compostela, la «Via Francigena» e altri, sono ricomparsi i pellegrini solitari che, transitando anche per Padova, chiedono di essere ospitati almeno una notte nel convento del Santo, per poi proseguire, spesso a piedi, verso la meta, che può essere la «vicina» Roma come la più lontana Santiago di Compostela o la lontanissima Gerusalemme. Essi provengono dai Paesi più diversi, come Irlanda, Gran Bretagna, Portogallo, Francia, Polonia, Germania…
Non numerosi e sempre muniti di lettere credenziali, sono per lo più giovani e giovanissimi, spiritualmente motivati ma anche con un pizzico di spirito d’avventura. Un giovane irlandese è giunto avendo al seguito un cagnolino, come san Rocco, patrono dei pellegrini, sempre raffigurato con un cane accanto che ha in bocca l’immancabile pagnotta. I frati del Santo offrono loro fraterna ospitalità: un letto, pasti adeguati e la condivisione dei momenti spirituali che scandiscono la giornata. Non meno importante la ricarica spirituale che questi pellegrini possono fare attingendo all’esperienza di un gigante della fede e della santità come sant’Antonio, predicatore itinerante e quindi esperto in ospitalità, per averla ricevuta tante volte nei vari luoghi in cui passava.
E sul tema, citando la prima lettera di Pietro, egli scrive: «Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare. Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio» (1Pt 4,9-11). Scrive quindi sant’Antonio: «Ospite è colui che accoglie e anche colui che è accolto. È chiamato in latino hospes, come mettesse un piede sulla porta, oppure perché tiene la porta aperta, e quindi è detto ospitale. Sono ospitali quei predicatori che sentono il dovere di aprire ai peccatori la porta della predicazione… E giustamente i predicatori sono detti ospitali, perché come buoni amministratori devono mettere a disposizione altrui la grazia della predicazione che hanno ricevuto e che si effettua in tante forme. Infatti, come tante sono le forme con cui si fanno i peccati, così anche la predicazione deve assumere svariate forme, affinché le anime, deformate dalle varie forme di vizi, vengano riformate con la forma della predicazione» (Serm. Domenica VI dopo Pasqua).