31 Maggio 2022

Il peso delle parole

Antonio aveva cura particolare per la parola, ben consapevole della responsabilità che ciascuno di noi ha quando ne pronuncia una.
Il peso delle parole

© JeSuisLAutre

Vangelo e carità: questo binomio è da tempo utilizzato per sintetizzare l’esperienza di sant’Antonio di Padova, ciò che ci ha consegnato a partire dalla sua vita e quanto si è poi sviluppato in suo nome. Si tratta di due aspetti profondamente connessi, capaci di alimentarsi a vicenda; semplificando un po’, potremmo dire che il primo è legato all’ascolto, alla predicazione e alla parola, mentre il secondo all’azione, ai segni e alle opere compiute. Mi vorrei soffermare sul primo dei due, in particolare sulla questione della parola. Il parlare fluente, che destava ammirazione e stupore, e la capacità di offrire un insegnamento adatto a ciascuno dei presenti, traducendo argomenti ardui con semplicità, mostrano che Antonio aveva una cura particolare per la parola, ben consapevole della responsabilità che ciascuno di noi ha quando dice qualcosa.

Lo sappiamo bene: ciascuna parola ha un peso. A volte è esplosione incontrollata delle nostre emozioni, specialmente quando un disagio ci provoca rabbia o indignazione: allora scappano parole pesanti, di una durezza che è capace di ferire, forse anzitutto chi parla. In altri casi è espressione di un pensiero superficiale, un parlare avventato, senza un’adeguata riflessione: sono parole vuote, che tante volte adoperiamo per riempire il silenzio, nel suo aspetto imbarazzante e scomodo da abitare. Può anche essere una parola pensata, frutto di un lavoro interiore. Comunque, affermava Edith Stein, «la parola esprime sempre la propria anima [...] e sempre raggiunge le anime altrui. Può arricchirle, svilupparle, sollevarle; può ferirle o farle ripiegare in sé impaurite; può anche seminare in loro germi di morte». C’è una responsabilità, quindi, nell’uso della parola.

Prima ancora di parlare, però, abbiamo già un mondo di parole dentro di noi: sono frasi, slogan, convinzioni che influiscono sul nostro modo di guardare la realtà. «Chi fa da sé, fa per tre», «al cuor non si comanda», «fidarsi è bene, non fidarsi è meglio» (e chi più ne ha più ne metta) sono tra i tanti proverbi noti e che racchiudono una saggezza popolare, ma allo stesso tempo non vanno assolutizzati, pena cadere nell’individualismo, in balìa delle passioni e nel sospetto continuo (tanto per rifarci ai detti citati). Peggio accade quando si annidano in noi parole false, menzogne che però riteniamo vere: svalutazioni ricevute («tu non conti niente» o «non sei degno di esistere»), offese o pensieri neri che cambiano la percezione della realtà («non ce la farò mai» o «nessuno mi vuol bene»). È un veleno difficile da contrastare, il cui antidoto è di nuovo la parola, stavolta di stima, di riconoscimento e di incoraggiamento.

Ci fa bene essere destinatari e promotori di parole buone: «Gareggiate nello stimarvi a vicenda» diceva san Paolo, invitando addirittura a fare a gara nell’apprezzarsi scambievolmente. Quante volte, invece, sembriamo gareggiare nel disprezzarci a vicenda: basta guardare certi dibattiti nei talk show, oppure scorrere i discorsi d’odio (hate speech) tristemente popolari sui social. È una degenerazione, forse anche un po’ pilotata, dato che, in fondo, ce la godiamo quando qualcuno viene messo alla berlina (a meno che non capiti a noi o ai nostri cari). Nella denigrazione, chi parla vuole mostrare la propria superiorità, spesso frutto di una sopravvalutazione di sé o di un narcisismo, anch’essi difetti di autostima. «Quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più» recita una delle Ammonizioni di san Francesco, invitando a riconoscere uno sguardo e una parola nuova sulla nostra vita: quelli del Padre, ai cui occhi ciascuno è prezioso in modo unico, degno di stima, in quanto figlio amato, voluto e cercato, al di là del bene o del male che compie.


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Data di aggiornamento: 31 Maggio 2022
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