Il prezzo di uno sport fuori controllo
«Caro direttore, la costruzione degli stadi per il campionato del mondo di calcio in Qatar è costata la vita a più di 6 mila operai, costretti a lavorare per 80 ore alla settimana, in condizioni disumane. È inaccettabile che ai giorni nostri avvengano queste nefandezze, mentre i tifosi si divertono e i calciatori e gli organizzatori guadagnano cifre spropositate».
Lettera firmata
A partire dal 2010, quando la Fifa ha assegnato il campionato del mondo del 2022 al Qatar, è iniziata la costruzione di stadi e altre infrastrutture nel piccolo Stato orientale. Circa l’85 per cento della popolazione del Paese è costituito da lavoratori provenienti dal Sudest asiatico, mentre i qatarioti sono solo 300 mila. Nel febbraio del 2021, il «Guardian» ha pubblicato una ricerca basata su fonti governative secondo cui tra il 2010 e il 2020 sono morti più di 6.500 lavoratori immigrati in Qatar provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka. La commissione organizzativa del campionato mondiale ha affermato che ci sono stati 40 morti nell’ambito della costruzione degli stadi, di cui 37 definiti non-work related, cioè non legati direttamente al lavoro (ad esempio, deceduti per un attacco di cuore). Tuttavia, in un’intervista a fine novembre, Hassan Al Thawadi, segretario generale della commissione responsabile nel garantire che i progetti infrastrutturali e di sviluppo siano consegnati per la Coppa del Mondo, ha ammesso che i migranti morti per costruzioni relative a questo evento (alberghi, ponti e altre strutture) sono tra i 400 e i 500.
Il quadro appare grave, come conferma International Labour Organization e come denuncia Human Right Watch, rilevando che le condizioni lavorative degli immigrati sono estreme: da un lato le temperature, che d’estate possono arrivare ai 50 gradi centigradi (per questo il torneo si è disputato in inverno), dall’altro il sistema di sfruttamento e la mancanza di tutele dei lavoratori. Nonostante le riforme attuate dal Qatar rispetto al sistema della kafala (ogni lavoratore straniero ha uno sponsor interno al Paese, da cui dipende strettamente: in pratica, spesso si realizza una forma schiavitù), non ci sono garanzie sufficienti, specialmente per le famiglie dei lavoratori, che vedono i loro cari tornare nelle bare, senza alcuna forma di indennizzo, dato che quasi sempre la loro morte è ufficialmente riportata per «cause naturali».
Su tutto questo c’è molto da riflettere: se il mondo del calcio può portare lavoro e benefici economici, non può rimanere indifferente di fronte a queste ingiustizie. In tal senso, Amnesty International, rilevando le responsabilità del Qatar e della Fifa, ha dichiarato che quest’ultima dovrebbe istituire un fondo di risarcimento di almeno 440 milioni di dollari, pari al premio stanziato per le nazionali partecipanti al mondiale. La cura per l’umanità e la sua dignità vengono prima dello sport e del divertimento.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!