«La felicità è una torta e tutti ne vogliono una fetta a me non interessa: io voglio la ricetta»

La felicità è una condizione che va preparata, coltivata e difesa, imparando ad arricchire la propria esperienza interiore e vivendo per qualcosa più grande di noi.
17 Maggio 2025 | di

Questa scritta scovata su un muro di Firenze un paio di anni fa mi ha dato molto da pensare: esiste forse una ricetta per la felicità? Non credo. Tutti noi vogliamo essere felici, ma poi siamo confusi, non sappiamo che cosa fare né come orientarci quando dobbiamo decidere che cosa veramente ci rende felici. Per molti nostri contemporanei la felicità è una chimera, sfuggente e inafferrabile. Una ricerca inutile e affannosa. Qualcosa che si desidera ardentemente e che non si realizza mai del tutto, così finiamo per accontentarci di una fetta soltanto della torta. «Essere stupido, egoista e godere di buona salute: ecco le tre condizioni per essere felici. Ma se manca la prima, tutto è perduto» (G. Flaubert, Lettere a Louise Colet 1846-1848, ES, 2008).

Cercare di essere felici è dunque da persone superficiali o addirittura stupide, come ammonisce ironicamente Flaubert in questa sua lettera? Un’affermazione divertente, ma un po’ esagerata. Io preferisco la serenità alla felicità, e non solo perché i tanti anni sulle spalle mi hanno disilluso, quanto piuttosto perché credo che la serenità sia più stabile e appagante. La serenità non è mai euforia, ma armonia nel contrappunto, equilibrio della mente nelle scoscese e ripide vie dell’imprevedibile, apertura del cuore e delle mani alla vita, così com’è. Lo diceva anche Henry Miller: «Per me la serenità vale più della felicità. Felicità è una parola molto sopravvalutata. È la gioia che conta, o la beatitudine».

Un tema, quello della serenità, caro a Seneca e alla filosofia orientale, ma non estraneo alla sapienza biblica, come si evince da tanti salmi e altri libri sapienziali del Primo Testamento. Occorre saggezza per orientarsi e serenità per vivere una vita ricca e soddisfacente. Ma la saggezza non è venduta al mercato né la serenità viene insegnata a scuola o nei luoghi di lavoro. Non c’è una disciplina né una materia scolastica che ci insegni come si fa a vivere in armonia e pace interiore. È un cammino che non finisce mai, che richiede attenzione e impegno, motivazione e perseveranza, cadute e ripartenze, immaginazione e fatica della mente e del cuore. Le filosofie orientali e occidentali, le religioni e le psicologie più recenti sembra facciano a gara a propinarci soluzioni a ogni problema emergente e talvolta ci offrono indicazioni preziose che rendono la strada meno oscura e con meno buche e asperità (Cfr. S. Olianti, La saggezza del cuore. Sentieri verso la serenità, Emp, 2025).

Ma non sempre ci basta: avremmo bisogno di un insieme di conoscenze e di competenze, non propriamente una ricetta, ma qualcosa di semplice e di pratico che ci aiutasse a cavarcela nella vita, a gestire le difficoltà e gli stati d’animo e a mettere ordine nella nostra scala dei valori, dando il primato e la precedenza a ciò che per noi conta davvero e che ci rende sereni. Ma non basta ancora: per trovare serenità occorre imparare ad abitare con se stessi e a conoscersi, a distinguere i moti del cuore, a discernere pensieri e sentimenti, a incrociare sulla via paure e asperità senza bloccarsi e a coltivare il desiderio, che rende la vita viva e non ci permette di annegare nella mediocrità di una vita sterile

Trovare la strada della serenità non è facile: è difficile trovarla in noi e impossibile scovarla altrove. La serenità non va confusa con l’euforia e neanche con la felicità epidermica di una gratificazione forte e momentanea; è piuttosto una condizione di stabile benessere della mente e di apertura del cuore, un ben-essere che si prolunga nel tempo e che dipende in gran parte dalle nostre scelte e dalla nostra volontà. Serenità è quiete profonda e non intaccabile, è la calma delle acque profonde quando la superficie del mare è increspata dalle burrasche e dai venti impetuosi. Serenità è equilibrio costante ed equanimità, ordine interiore e buon orientamento delle passioni. E in questa difficile traversata è la mente che traccia la strada (cfr. S. Olianti, ivi).

Ma non basta essere felici per avere una vita eccellente, suggerisce Mihály Csíkszentmihályi, uno dei pionieri della psicologia positiva. Il segreto è essere felici facendo cose che mettono alla prova le nostre capacità, che ci fanno crescere e ci portano a esprimere tutto il nostro potenziale. Già Aristotele, nel IV secolo a.C., collegava la felicità, eudaimonia, con la realizzazione delle nostre potenzialità: dedicarsi a qualcosa di più grande di noi e farlo con tale intensità e creatività che ogni sforzo viene totalmente assorbito da quello che facciamo. È quello che Csíkszentmihályi chiama flow, flusso di un’esperienza ottimale che assorbe e finalizza il nostro impegno e la nostra creatività (Cfr. M. Csíkszentmihályi, Flow. Psicologia dell’esperienza ottimale, Roi Edizioni, 2021). Se riusciamo a orientare la nostra esistenza a una finalità potente e che trascende la sfera egoica della ricerca di una gratificazione immediata, allora la vita può diventare un lungo flow in cui tutte le esperienze sono interconnesse e ordinate. Insomma, la felicità è una condizione che va preparata, coltivata e difesa, imparando ad arricchire la propria esperienza interiore e vivendo per qualcosa più grande di noi.

Non esiste, dunque, una ricetta per la felicità; ognuno di noi impara a cucinare la propria torta con gli ingredienti che ha. Credo che la felicità abbia molto a che fare con il cucinare la torta della vita con amore e farne parte anche agli altri. Invece di prenderne una fetta solo per noi, imparare a condividere. Questo rende felici. E imparare a svegliarsi ogni mattina con un canto nel cuore, come ci ricorda Christian Bobin: «La vita è un dono che scarto ogni mattina quando mi sveglio».

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Data di aggiornamento: 17 Maggio 2025
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