La madre moltiplicata
A volte sono i fatti a scegliersi le persone. E così può capitare che chi si butta in una missione sociale per inclinazione, passione, convinzioni di vita, si ritrovi a far parte di una storia più grande, che lo costringe ad azioni e decisioni che mai avrebbe pensato. Uno schema che calza a pennello con la vicenda di Agnese Ciulla, 52 anni, una vita nel Terzo settore, assessore alle politiche sociali del Comune di Palermo dal 2012 al 2017 e oggi responsabile dei rapporti con enti locali e regioni della Federazione italiana organismi per le persone senza dimora. La gente ancora la chiama «La grande madre» per aver avuto la tutela legale di 1.100 «figli», pur essendo madre di due bimbi piccoli, ma lei si schermisce, perché sa bene che la sua è una storia plurale, piena di luci ma anche di dolore, condivisa con la sua amata Palermo, la città «tutta porto», come la definivano i greci. Un ventre di mare che sa accogliere i figli, pur tra mille difficoltà.
«Ho iniziato a 19 anni come volontaria di Arciragazzi, seguendo i ragazzi e le ragazze dei quartieri – racconta –. Se operi a Palermo non puoi cavartela con qualche gioco di gruppo, devi entrare nei temi, devi parlare di legalità, devi progettare concreti percorsi di lavoro». I volontari stessi creano cooperative in cui lavorano a loro volta e Agnese è responsabile di una di queste: «Eravamo tutte donne, dipendevamo l’una dall’altra». Quando Leoluca Orlando le chiede di entrare nel governo della città, la proposta è insieme uno shock e un’opportunità comunitaria: «Non presi la decisione da sola – continua Agnese –, discutemmo a lungo tra noi, perché sapevamo che quella scelta avrebbe cambiato tutto, ma ci avrebbe anche concesso di batterci per i diritti e per ottenere i servizi sociali che chiedevamo da una vita, agendo questa volta dall’altra parte della barricata. Un’occasione epocale. La mia di fatto è stata una designazione».
Il tunnel delle emergenze
Passare dall’altra parte, però, si rivela tutto un altro film: «È stato come entrare in un tunnel. Avevo deleghe pesanti: emergenza abitativa, minori, famiglie, migranti che a quel tempo erano pochi, politiche giovanili, politiche sociali. Una sfida enorme, sovradimensionata rispetto a me. Una grande incoscienza da parte mia».
Presa nel vortice del nuovo incarico, Agnese comunque cerca la rotta per compiere il mandato che le è stato affidato: «Se volevamo cambiare le cose, dovevamo innanzitutto capire i problemi e la storia di quell’assessorato. Per questo ho passato due anni a tamponare le emergenze e ad ascoltare la gente, che raccontava, protestava, si lamentava, piangeva. Avevo la fila fuori dall’ufficio ogni giorno». E di problemi ce n’erano tanti a Palermo: la casa, la disoccupazione, la criminalità organizzata, l’abbandono infantile, la povertà degli anziani, l’esclusione sociale, il disagio giovanile, lo scarso accesso alle cure. Difficile raccapezzarsi: «Eppure la scommessa era proprio quella di non fermarsi all’emergenza ma iniziare a progettare e riorganizzare servizi e procedure, in modo che i palermitani potessero finalmente sapere a chi rivolgersi».
Ad Agnese sembra già troppo così, e invece il peggio deve ancora arrivare. Il 1° maggio del 2014 è una data fatidica, l’ulteriore spartiacque tra la vita di prima e la vita di dopo. «Mi chiamò la prefettura, dicendomi che, il giorno seguente, sarebbe arrivata una nave con migranti. Non eravamo preparati, l’Italia stessa non lo era: mancavano leggi e procedure. La legge Zampa ancora non c’era. Seguii il consiglio dell’assistente sociale che si occupava di migrazioni e chiesi se c’erano a bordo minori non accompagnati. “Solo genitori con figli” mi assicurarono».
Tutrice senza confini
Il giorno dopo la nave Libra della Marina Militare attracca al molo Puntone con 358 migranti; un pot-pourri di etnie e di disperazioni: Mali, Ghana, Belize, Niger, Egitto, Sudan, Siria, Palestina. È il primo grande sbarco a Palermo. C’è un gran caos, malgrado gli sforzi dei soccorritori, in assenza di regole e procedure; l’unica cosa certa è che alla fine rimangono sulla banchina del porto 73 minori non accompagnati. Un colpo per Agnese, perché, secondo le regole del momento, è sua la responsabilità di quei ragazzi: «D’un tratto divenni tutrice di tutti quei minori; anche se conoscevo i servizi e le associazioni del territorio, era oggettivamente difficile trovare una soluzione in così breve tempo». Ma è solo l’inizio. «Gli sbarchi s’intensificarono a tal punto che in tre anni arrivai ad avere 1.100 bambini e ragazzi sotto tutela, più gli oltre 350 bambini e bambine palermitani».
Ha una sola risorsa Agnese: la sua Palermo, con i suoi mille problemi. Chiede aiuto Agnese per questi ragazzi di tante terre e Palermo risponde come una gran signora, madre di tanti figli emigrati per il mondo: «Si sono attivati tutti: cittadini, istituzioni, associazioni, Chiesa, Terzo settore, una mobilitazione mai vista. A poche ore dal primo sbarco arrivarono scarpe e vestiti, beni di prima necessità e posti letto; si era creata una catena tra le istituzioni: Tribunale per i minorenni, Procura per i minorenni, Giudice tutelare, Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Questura, l’Azienda sanitaria e persino l’Università. A ogni sbarco diventavamo più efficaci, tanto da sperimentare per primi la figura del tutore volontario e da inventare insieme non solo procedure di accoglienza, ma anche percorsi d’inserimento. Nulla si fa da soli. Mai».
Un impegno pagato a caro prezzo, perché da quel giorno e per tre anni la banchina del porto diviene il suo ufficio a cielo aperto, mentre a sera torna dai figli di 11 e 6 anni, che fatica a proteggere dall’enormità dell’emergenza: «A un certo punto mi diedero anche una scorta provinciale, ero stata minacciata, e questo complicò ulteriormente la mia vita familiare. Non potevo uscire da sola, neppure per un gelato». Agnese Ciulla prova ancora forte emozione quando racconta quell’esperienza, che è diventata prima un film, Tutto il giorno davanti, e poi un libro scritto a quattro mani con Alessandra Turrisi, La grande madre: «La grande madre non ero io – ritorna a precisare –, che anzi ero la tutrice peggiore dell’universo, la grande madre è Palermo che ha reagito con forza, dignità, orgoglio». Ma una madre così generosa la devi anche rispettare: «Bisognava evitare una guerra tra poveri e continuare, nonostante tutto, a programmare e progettare le politiche sociali per i palermitani. Sono stati anni entusiasmanti ma difficilissimi».
I diritti sono di tutti o di nessuno
Ma di quei giorni rimane anche un dolore esistenziale che non si cancella e mille perché, che ancora non trovano risposta: «In ogni nave c’è sempre un carico di morti, che sbarcano per primi. Un giorno vedemmo uscire i corpi di alcune bambine; sulla banchina calò un silenzio raggelante. Osservavo col fiato sospeso le donne che scendevano dalla barca, finché ne scorsi due, con occhi talmente gonfi da stravolgere i tratti del volto. Erano le madri di quelle piccole. Quel dolore non potrò mai dimenticarlo». Difficile non farsi domande di fronte all’ovvio: «Perché i loro figli muoiono e i nostri vanno all’estero a studiare? Mi resi conto che la nostra accoglienza era nulla al confronto, la miglior accoglienza del mondo era nulla. E io mi vergognavo per quel nulla».
Oggi Agnese, nella sua nuova veste, si occupa di persone senza dimora. «L’impegno in realtà è sempre lo stesso: mettere al centro i diritti e promuovere politiche sociali efficaci per i bisogni delle persone. Se i diritti sono solo di alcuni allora non sono diritti. Ed è facile dimostrarlo in ciò che faccio ora: prima i senza dimora erano in maggioranza persone migranti, oggi sono in buona parte anche persone con disturbi mentali, donne che scappano dalla tratta e dalla violenza, padri separati, anziani che non arrivano a fine mese, lavoratori che perdono l’impiego. Ci vuole un attimo per passare dall’altra parte. I diritti degli ultimi, in realtà, sono anche i nostri diritti. Non dovremmo mai dimenticarlo».
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