La nonviolenza è la soluzione
Aumentano i conflitti in tutto il mondo, è un fenomeno innegabile in questa «guerra mondiale a pezzi» per parafrasare papa Francesco. Tuttavia un dato poco conosciuto è che nell’ultimo secolo, le lotte nonviolente sono cresciute progressivamente, con un incremento esponenziale negli ultimi dieci anni. A registrarlo sono studi decennali oggi sintetizzati nel libro «Come risolvere i conflitti», della ricercatrice Erica Chenoweth, pubblicato in Italia nel marzo 2023.
Ci sono però almeno due paradossi che controbilanciano questa buona notizia. Il primo è che il grande sviluppo della lotta nonviolenta è concomitante all’aumento delle guerre guerreggiate e delle svolte autoritarie in tanti Paesi del mondo.
L’altro paradosso è che nonostante ci siano state più lotte nonviolente negli ultimi due decenni che in tutto il ‘900, la loro efficacia è notevolmente diminuita. Se si fa una media degli ultimi 120 anni, le lotte nonviolente avevano successo nel quasi 50 per cento dei casi, mentre quelle violente nel 26 per cento. Dal 2010 in poi il tasso di successo delle lotte nonviolente è sceso al 34 per cento, ma quello relativo alle lotte violente è colato a picco, e si attesta al 9 per cento.
Nonostante tutto insomma la nonviolenza vince abbondantemente sulla violenza. C’è però da chiedersi come mai la nonviolenza sia diventata meno efficace proprio nel momento in cui viene utilizzata di più.
Le contromisure dei regimi
I motivi sono molti, secondo la ricercatrice. Innanzitutto i regimi sono diventati più ostici, allargando per esempio i loro legami con regimi simili, ma soprattutto affinando le loro tecniche di risposta alla lotta nonviolenta, attraverso quella che gli studiosi chiamano «repressione intelligente». E così, per esempio, creano controdimostrazioni filogovernative, delegittimano gli attivisti bollandoli come terroristi o traditori al soldo di potenze straniere, fomentano l’ala più violenta dei movimenti in modo da legittimare la loro repressione.
Ma ci sono debolezze intrinseche anche nei movimenti nonviolenti, che oggi, per esempio, riescono a coinvolgere meno persone, ma soprattutto si affidano troppo al digitale. Così facendo, elaborano e organizzano poco altre tecniche di nonviolenza sui territori, come la non cooperazione di massa, gli scioperi, la disobbedienza civile, l’istituzione di governi paralleli per sperimentare altre forme associate. I social media arrivano a molti, ma la loro influenza si spegne velocemente, invece la lotta non violenta organizzata sul territorio e costantemente aggiornata dal punto di vista strategico è molto più efficace e duratura. Allo stesso tempo anche i regimi fanno grande uso del digitale con il quale sorvegliano le persone e ne prevedono i movimenti, come mai prima. Si tratta quindi di una tecnologia a doppio taglio.
La risposta sempre più studiata dei regimi e le incrinature all’interno della nonviolenza giocano a sfavore in un clima come quello attuale, dove guerra fomenta guerra e la violenza sembra l’unica soluzione efficace.
In realtà, nonostante le apparenze, la nonviolenza continua ad essere molto più efficace della violenza nel portare cambiamento e risolvere conflitti. Per di più non causa vittime e distruzioni e non fomenta nuova violenza. Solo che questa grande possibilità dev’essere conosciuta dall’opinione pubblica, cosa che non solo i regimi ma anche l’industria delle armi tendono a ostacolare. A dimostrare l’efficacia della non violenza è proprio il fatto che i regimi rispondono con tecniche sempre più sofisticate – precisa Chenoweth –, perché sanno quanto essa sia insidiosa per il loro potere».
La nonviolenza è alla nostra portata
Come quindi riappropriarsi della nonviolenza in questi tempi di guerra e di conflitti che esplodono in successione? Erica Chenoweth individua cinque fondamentali punti di consapevolezza, che sono la sintesi delle sue ricerche:
1) Nella maggior parte dei casi la ricerca dimostra che la resistenza civile è un’alternativa realistica e più efficace della resistenza violenta. Non è debole e non è «gentile» ma si radica in un’azione comunitaria, organizzata che usa metodi appositamente studiati e più inclusivi.
2) Non mira a intenerire il cuore dell’avversario, ma a generare defezioni all’interno delle sue schiere, perché ciò che propone è più conveniente.
3) La resistenza civile non è semplice protesta ma mira a costruire un’alternativa all’esistente; per questo, per esempio crea sistemi economici o gruppi politici alternativi.
4) È bene tener presente che negli ultimi 100 anni la resistenza civile si è dimostrata molto più efficace di quella armata anche nell’introdurre cambiamenti sociali e processi di sviluppo della democrazia.
5) «Anche se la resistenza nonviolenta non ha sempre successo, funziona molto meglio di quanto i suoi detrattori vogliono farvi credere» conclude Chenoweth. Parola di studiosa dei conflitti, che nel 2013 è stata inserita dalla rivista «Foreign Policy» nella classifica dei 100 pensatori più influenti al mondo, proprio a ragione dei suoi studi sulla violenza e sulla nonviolenza.
Per un inquadramento del tema vedi l'articolo sul numero di gennaio 2024.
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