La Sacra di San Michele tra mistero e devozione
Stiamo percorrendo la strada statale 24 del Monginevro in direzione Susa. D’un tratto, a una quarantina di chilometri da Torino, sulla sinistra, uno sperone di roccia grigia, che pare svettare solitario sulla sommità del monte Pirchiriano, attira la nostra attenzione. Man mano che ci avviciniamo, quello che pareva solo un pezzo di roccia un po’ strano prende forma assumendo una connotazione più precisa. Si rivela una costruzione spettacolare, una sorta di santuario che sorge proprio lì, abbarbicato su quella roccia: si tratta – scopriremo poi – della Sacra di San Michele, un edificio destinato al culto costruito tra il 983 e il 987.
Quando, dopo aver abbandonato la SS 24 e aver superato i laghetti di Avigliana, ci inerpichiamo sulla stretta strada di montagna che, passando per l’antico borgo di San Pietro, conduce alla Sacra (l’ultimo tratto, però, bisogna percorrerlo a piedi), ci troviamo dinanzi a un panorama mozzafiato per la bellezza e per gli echi di storia che emana. È come fare un salto nel Medioevo, come ritrovarsi di colpo nell’antico monastero in cui Umberto Eco ambientò il suo Il nome della rosa (e, non a caso, si dice che lo scrittore prese spunto proprio da questo luogo per il suo libro). Qui tutto è aspro, irto, emana fortezza e al contempo spiritualità, una spiritualità antica che pare aver attraversato indenne i secoli per rinnovarsi quasi magicamente agli occhi di ogni pellegrino e visitatore dei nostri giorni.
Le origini
La storia della Sacra di San Michele comincia sul finire del X secolo, quando un tal Giovanni, soprannominato Vincenzo, che secondo la tradizione era stato vescovo di Ravenna, decise di ritirarsi in romitaggio sul monte Caprasio. Una notte, si narra, gli apparve un angelo che gli chiese di costruire una chiesetta dedicata al culto di san Michele. Detto fatto, Giovanni Vincenzo cominciò a raccogliere lungo il monte la legna e le pietre necessarie per la costruzione. Lavorò tutto il giorno accatastando il materiale appena fuori della sua dimora. Ma al suo risveglio, il mattino dopo, non trovò più nulla di quanto raccolto. Pensò a dei ladri che nottetempo gli avessero rubato tutto. Con pazienza, ricominciò il suo lavoro e ancora una volta, alla sera, accatastò il materiale fuori della casa. La mattina dopo non c’era di nuovo più nulla. Ricominciò pazientemente la sua raccolta, ma la notte successiva decise di restare sveglio per scoprire chi fossero quei misteriosi ladri. Immaginate la sorpresa quando si accorse che a sottrargli il materiale raccolto era un angelo! Lo seguì e così scoprì che in realtà questo misterioso personaggio divino non rubava un bel niente, ma semplicemente spostava legna e pietre sulla sommità del monte dirimpettaio: il Pirchiriano, appunto. Giovanni Vincenzo comprese così che il luogo in cui doveva costruire la chiesetta era proprio la sommità di quel monte, sperone di roccia alto 962 metri, appartenente al gruppo del Rocciavrè nelle Alpi Cozie. Quell’angelo, che la tradizione identifica con san Michele, aveva scelto insomma il luogo in cui la sua chiesa doveva essere costruita.
Giovanni Vincenzo eresse l’edificio sacro, scavando nella roccia un altare dedicato a san Michele e si ritirò in romitaggio nei pressi del luogo. Qualche tempo dopo chiese al vescovo di Torino, Amizone, di consacrare la chiesetta. Lo storico Emanuele Vecchio scrive che, consultando la Chronica monasterii sancti Michaelis Clusini (1058-1061), la più antica e importante tra le fonti che parlano della fondazione della Sacra, si ha notizia di alcuni prodigiosi eventi che vi avvennero, come «una colonna di fuoco che scendeva dal monte», i quali convinsero il vescovo Amizone che il luogo avesse già ricevuto la «diretta consacrazione divina e angelica». Tradizione vuole che, tempo dopo, un altro personaggio, il nobile Ugo di Montboissier, in seguito a un’ulteriore apparizione di Michele sul luogo dove sorgeva la chiesetta di Giovanni Vincenzo, vi costruì attorno un monastero, affidandone la cura ai monaci benedettini.
I benedettini rimasero alla Sacra per circa seicento anni, tra alterne fortune. In questi anni il luogo conobbe grande fama – divenne un punto di sosta per nobili pellegrini e una sorta di centro di cultura internazionale – e momenti di profonda crisi, che portarono la Sacra a venire abbandonata per circa due secoli, a cavallo tra il 1600 e il 1800. Nel 1836, «re Carlo Alberto di Savoia – scrive ancora Emanuele Vecchio –, desideroso di far risorgere il monumento che era stato l’onore della Chiesa piemontese e del suo casato, pensò di collocarvi, stabile, una congregazione religiosa». Fu così che, nello stesso anno, papa Gregorio XVI nominò i Rosminiani amministratori della Sacra. Contemporaneamente il re affidò ai religiosi la custodia di ventiquattro salme di reali di casa Savoia, traslate dal duomo di Torino e ancora oggi tumulate nel santuario all’interno di pesanti sarcofaghi di pietra. I Rosminiani mantengono ancora la loro presenza nel luogo, anche dopo che, con una legge speciale, la Sacra è stata riconosciuta dalla Regione «simbolo del Piemonte».
La Sacra oggi
Appena entrati nel perimetro della Sacra, il primo luogo che si incontra è il cosiddetto «sepolcro dei monaci»: ritenuto a lungo il luogo della sepoltura dei religiosi che qui vivevano, pare che esso fosse in origine la riproduzione del Santo Sepolcro, quasi una visione profetica per i tanti pellegrini che transitavano di qui diretti a Gerusalemme (ricordiamo che san Michele è protettore dei pellegrini!). Dopo aver oltrepassato anche le due foresterie, ci si trova davanti alla facciata dell’abbazia, un massiccio di 41 metri d’altezza che fa tremare le vene ai polsi per l’imponenza e per l’alternarsi di colori e forme che d’improvviso accerchiano lo sguardo: dal grigio delle linee rette del basamento alle curve verdognole della chiesa, per giungere all’abside che svetta leggero grazie agli archi della Loggia del Viretti.
Giunti al vero e proprio ingresso, ci si ritrova ai piedi dello Scalone dei morti (XII secolo), una ripida scala che deve il suo nome ai resti dei monaci qui conservati fino al 1936. È bellissimo salirla nel clima di semioscurità e intravvedere alla fine la luce calda che attende i pellegrini: nello spazio di quei 90 gradini pare di ripercorrere il senso di ogni cammino umano, che dalla fatica dell’oscurità si muove verso la luce. Arrivati alla sommità dello Scalone e oltrepassato il Portale dello Zodiaco (1128-’30) – opera romanica realizzata dal Maestro Nicolao –, si esce all’aperto per poi affrontare un’ultima rampa di scale che conduce all’ingresso della chiesa romanico-gotica, all’interno della quale si può notare sia la sommità rocciosa del monte Pirchiriano sia i resti del primitivo santuario. La chiesa contiene numerose opere d’arte degne di rilievo, come lo splendido trittico di Defendente Ferrari, che risale al 1520 circa, e che raffigura una Madonna del latte con, ai lati, san Giovanni Vincenzo e san Michele Arcangelo che sconfigge il demonio.
Il mistero della Sacra
Mentre osserviamo incantati l’interno della Sacra di San Michele, un anonimo cartello cattura la nostra attenzione. Scopriamo così che la Sacra sarebbe situata sulla misteriosa «Linea Sacra di San Michele», nota anche come Via Micaelica: una linea retta immaginaria di circa quattromila chilometri lungo la quale si trovano, perfettamente allineati, sette santuari legati all’Arcangelo. Anche in questo caso la tradizione ne spiega l’origine facendola risalire a un fatto miracoloso: la linea, infatti, sarebbe il colpo di spada che l’Arcangelo Michele inflisse al demonio per rispedirlo all’inferno.
Spada o non spada, resta il fatto inspiegabile di questa linea – che risulta oltretutto in perfetto allineamento con il tramonto del sole il giorno del solstizio d’estate –, la quale, a partire dal santuario di Skelling Michael, in Irlanda, passando per St. Michael’s Mount in Gran Bretagna e Le Mont Saint Michel in Francia, giunge alla Sacra di San Michele per poi proseguire verso il santuario di Monte Sant’Angelo, in Puglia, il monastero di San Michele Arcangelo di Panormitis, in Grecia, e si conclude in Terra Santa, sul Monte Carmelo. Un mistero, l’ennesimo, che avvolge questo luogo ricco di fede e di bellezza, nato dalla pietà popolare.
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