L’equivoco del fifty-fifty

Negli ultimi anni, in sede di separazione coniugale, si è affermato il principio che i figli debbano trascorrere esattamente metà del tempo con la mamma e metà con il papà. Ma siamo proprio sicuri che così si faccia il bene di bambini e ragazzi?
28 Maggio 2025 | di

Nella storia, la crescita dei bambini è sempre stata invasa da mode più o meno passeggere e più o meno adeguate, dal punto di vista scientifico, ai reali bisogni infantili. Mode che si presentano con le sembianze giuste, quasi fossero una necessità imprescindibile piuttosto che qualcosa di eccentrico. Il peggio lo ha dato la cultura patriarcale con la sua educazione rigida, coercitiva e oppressiva, che ha portato a tacciare i genitori affettuosi verso i figli di essere diseducativi. Ma comunque per ogni epoca si può citare una moda di cui poi a ritroso si è finiti con il pentirsi. Negli anni Settanta, per esempio, le mamme venivano sollecitate a usare l’allattamento artificiale per emanciparsi e liberarsi da questa dipendenza. «Non siamo mucche» era uno degli slogan più diffusi. 

Negli ultimi anni, poi, si sta pericolosamente consolidando una tendenza nelle situazioni di separazione che oggi rappresentano in Italia il 30% delle famiglie con figli. Com’è noto, per i bambini e le bambine è importantissimo che i genitori possano vivere questa esperienza per loro drammatica con un’attenzione all’educazione dei figli, che risulti prioritaria e non dominata da altre influenze, né ideologiche né economiche. Tante mamme ultimamente mi scrivono lamentando che, durante le separazioni, tribunali e avvocati, per motivi legislativi che non sto ad approfondire, si stanno orientando verso un sistema per cui i figli vengono divisi temporalmente al 50%, il cosiddetto fifty-fifty, già dai primissimi anni, se non addirittura dalla nascita, nel caso in cui la separazione risulti precoce.

Mi scrive, ad esempio, Anita: «Buongiorno, sono una mamma separata da un anno e sono preoccupata per mio figlio di 3 anni. In certe situazioni non so cosa fare per renderlo sereno e riposato. Con il mio ex marito abbiamo affrontato una separazione giudiziale e il nostro rapporto è da sempre molto problematico. Il giudice ha accolto la sua richiesta di un collocamento paritario per cui il bambino ogni due o tre giorni cambia ambiente, letto, abitudini, eccetera. Questa decisione crea a me e a mio figlio non poche difficoltà».

È un grido di dolore che denuncia qualcosa che va contro natura: dopo che il piccolo è stato per nove mesi nella pancia della mamma, non ha senso che il padre pretenda di sostituirsi alla madre stessa nella sua cura. Si tratta di mode devastanti che compromettono l’attaccamento primario, una delle poche certezze che abbiamo nella crescita dei bambini, ossia l’idea, come hanno dimostrato i grandi scienziati come John Bowlby e Donald Winnicott, che all’esordio della vita il cucciolo umano ha bisogno di avere una figura unica che garantisca quella sicurezza che gli farà da sponda per tutta la vita. 

Le norme giuridiche devono considerare questi elementi inderogabili, piuttosto che navigare a vista sulla base di chi urla più forte, appigliandosi a cavilli concettuali che non corrispondono ai bisogni dei più piccoli. Non ripetiamo gli errori del passato.

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Data di aggiornamento: 28 Maggio 2025
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