L’Europa è nata grazie ai viaggi

Fin dal Cinquecento la mobilità all’interno del vecchio continente ha favorito la nascita di un’identità comune, e la circolazione di idee, saperi e valori. Intervista audio al professor Attilio Brilli, autore del saggio «Le vie del Grand Tour».
13 Marzo 2025 | di

Nel corso dei secoli, quanto è stata decisiva la pratica del Grand Tour, ovvero dei viaggi tra i vari Paesi europei, in particolare verso l’Italia, nella formazione di una coscienza comunitaria?

In fondo anche ai tempi dei Romani si facevano dei Grand Tour. Ci si poteva infatti spostare da una parte all’altra dell’Impero lungo i 100 mila chilometri di vie e strade consolari lastricate.

Ma la trama culturale intessuta dal Grand Tour moderno, soprattutto dal Seicento e dal Settecento in avanti, dapprima a partire dalla Gran Bretagna, diversamente dal passato ha saputo collegare le nazioni del vecchio continente dando vita a un’idea germinale di Europa, e a una condivisione di valori sopravvissuta perfino ai nazionalismi più esasperati, e a ben due guerre mondiali.

Si viaggiava per diletto o per ragioni culturali, per motivi commerciali o di studio. I più fortunati appartenevano alle classi aristocratiche e alto borghesi europee, per le quali il viaggio costituiva spesso una sorta di rito di iniziazione delle giovani generazioni alla vita e alle sue responsabilità.

L’esperienza del viaggio portava con sé la contaminazione di lingue e culture diverse, l’abbattimento dei ponti levatoi e dei fossati che avevano contraddistinto il Medioevo dei castelli e delle fortificazioni. Quasi un monito all’epoca dei muri e delle barriere, tornata prepotentemente d’attualità.

Ad affrontare questo tema è il professor Attilio Brilli, fra i massimi esperti di letteratura di viaggio, nel suo ultimo saggio dal titolo «Le vie del Grand Tour», edito da Il Mulino nella collana Ritrovare l’Europa.

 

 

Data di aggiornamento: 13 Marzo 2025
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