L'incontro si fa danza
Due uomini qualsiasi che si stanno per incontrare. Forse un fermo immagine preso direttamente dalla parabola evangelica del figliol prodigo o del padre misericordioso, a seconda da quale parte la si legga. O più semplicemente un padre e un figlio che si ritrovano dopo anni, o magari non riescono più a farlo, perché la morte li ha separati e l’uno sta solo per abbracciare il fantasma, il ricordo, il desiderio, dell’altro che non c’è più. Forse, perché no?, due uomini che stanno danzando più che camminando, sulle note della loro vita, e la teoria dei loro passi li porta di volta in volta ad avvicinarsi o ad allontanarsi, a sfiorarsi comunque.
Certo che se è l’incontro il tema della scultura che vedete riprodotta in queste pagine, dell’incontro dice tutto. Compreso lo spazio di vuoto che rimane tra le due persone, che ci rimanda alla presenza e allo stesso tempo all’assenza. Che, se incontro c’è autenticamente stato, l’assenza è un’altra forma in cui la presenza si dice. Per cui, a questo punto, è meno importante sapere se i due personaggi della scultura si stiano accostando tra di loro, quasi un istante prima dell’abbraccio liberatorio, o non piuttosto salutandosi e lasciandosi. Perché abbracciare è lasciare andare.
Il maestro Niccolò Niccolai, classe 1948, toscano, nel modellare questa sua opera, che rappresenta l’incontro tra san Francesco e sant’Antonio di cui in questo numero del «Messaggero di sant’Antonio» stiamo facendo grata memoria, aveva in mente, nel cuore e, verrebbe proprio da dire, nelle abili mani tutto questo, e molto più.
Presenze costanti
Perché Francesco e Antonio, come lui stesso racconta, sono da sempre presenti nella sua vita e nella sua esperienza artistica. Nella casa dove ha vissuto, la classica immagine di sant’Antonio con in braccio il Piccolo Gesù, che accarezza teneramente il mento del Santo, era appesa al centro di una delle pareti della cucina che fungeva da sala da pranzo, salotto, soggiorno, stanza dei giochi. L’immagine di sant’Antonio è stata poi una presenza costante fino al termine dell’Accademia di Belle Arti a Firenze, cioè per ventitré anni. E se il Santo di Padova in seguito si eclissava momentaneamente, non è stato così per san Francesco a causa di una simpatia innata e della frequentazione di amici francescani, uno dei quali, frate Tarcisio Ciabatti, tutt’ora missionario da oltre quarant’anni in Bolivia.
Il Poverello d’Assisi è stato presente anche in alcuni suoi vari lavori artistici. Le ultime due sculture con soggetto san Francesco, eseguite tra il 2007 e il 2017, sono a grandezza naturale: la prima, realizzata in bronzo a cera persa, rappresenta il santo durante una predica; la seconda, in marmo sintetico di Carrara, mostra il momento commovente del «transito» del santo. «Quest’ultima scultura mi ha coinvolto totalmente nelle viscere e nell’intelletto – sottolinea il maestro –. La morte del santo avvenuta in quel modo descritto nelle Fonti Francescane, mi ha toccato corde del cuore non ancora scoperte! Rileggere gli ultimi quattro anni della vita di san Francesco è stato motivo per riscoprire anche la grandezza di sant’Antonio e approfondire accuratamente la sua vita».
Apertura al mondo
Così l’incontro tra i due santi ad Assisi nel capitolo delle stuoie commuove letteralmente la sua creatività! Complice anche una mostra d’arte, intitolata La voce e il miracolo e organizzata dall’associazione Di-Segno, che ha inteso indagare artisticamente la vicenda umana e spirituale di sant’Antonio, esposta presso la Basilica di Padova nell’autunno 2020 (questa stessa mostra è ora itinerante in giro per l’Italia, nell’ambito del progetto «Antonio 20-22»; catalogo Emp). È egli stesso a descrivere la sua opera: «Due uomini di Dio fecondati dallo Spirito Santo hanno avuto modo e grazia d’incontrarsi. Ciascuno di noi conserva nel proprio cuore la bellezza di uno o più incontri che hanno modellato, forgiato la sua esistenza! L’incontro con un amico, con la donna della propria vita, con il maestro che ha illuminato la propria strada professionale, o meglio la Fede».
«Tutti noi conserviamo nella nostra memoria uno o più fatti che ci hanno sradicato dall’abitudine, dalla monotonia, dalla tristezza di una vita insensata e ci hanno orientato verso una visione del mondo aperta, grande, colma di stupore. La coscienza della grandezza del significato dei nostri “incontri”, ci permette la comprensione di quelli altrui! Pensare a quel che provava quel giovane frate portoghese che da canonico agostiniano si fa francescano per testimoniare meglio con la propria vita il Vangelo di Gesù e, per farlo ancora meglio in modo radicale, vuole incontrare il suo maestro nella Fede, mi ha caricato di fantasia e forza creativa. Mi sono immaginato, perché non si conoscono le dinamiche reali dell’incontro, due giovani uno di fronte all’altro: sant’Antonio di 26 anni e san Francesco di circa 40 anni, prossimi alla fine del loro pellegrinaggio terreno ma avendo vissuto entrambi anni di un’intensità tale che, paragonati a una vita normale, è come se avessero vissuto il triplo del tempo realmente passato!».
«Nella mia immaginazione ho visto lo scorgersi reciproco dei santi, in qualche modo riconosciutisi, animati da una energia attrattiva e con passi veloci giungere l’uno verso l’altro: i piedi scalzi, dolenti, provati dal lungo camminare sui sassi sparsi nel terreno, ignorando il dolore, incedono l’uno verso l’altro. I santi con le mani agguantano l’orlo dei miseri sai, li tirano su verso la vita, per rendere le gambe più libere di affrettare il passo e giungere quanto prima a quel desiderato incontro». Il maestro ci confida che il modello ispirativo immediato è stato un quadro del Pontormo, la cosiddetta Visitazione di Carmignano: il momento dell’abbraccio tra Maria e l’anziana parente Elisabetta, entrambe madri per grazia. Ed è proprio così che l’incontro diventa fecondo: per chi ci si trova coinvolto, ma talvolta, in alcune occasioni benedette, anche per chi ne fa memoria a distanza di tempo.
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