23 Luglio 2025

Lucignana, un paese e la sua libreria

Ai confini della Garfagnana, vallata dell’Appennino toscano, una poetessa ha aperto una libreria in un paese che faticherete a trovare su una carta geografica. Questa è una storia che sa di libri e di fiori, di speranza e di passione.

Lucignana, 180 abitanti, un paese e la sua libreria

Mi arrampico per uno stradello di salita e tornanti. Due macchine assieme non passano. Sono abituato alle brusche scarpate che si alzano dalla valle del Serchio e alle sue strade-sentiero. Questa è Toscana del Nord-Ovest, porte della Garfagnana, terra di Lucca.

Vado a Lucignana per una libreria. Centottanta abitanti (sono aumentati di dieci dall’ultima volta che ne ho sentito parlare). Una grande chiesa di stucchi e organo. Santo Stefano. E, da cinque anni, una libreria. Oramai, a suo modo, celebre. Conosco la libraia. O, per la verità, la conoscevo: sono anni e anni che non ci vediamo. Scrittrice, poetessa, direttrice di prestigiose istituzioni culturali fiorentine, collaboratrice di case editrici, amica e complice di scrittori di culto. Accade che Alba, Alba Donati, alle soglie dei sessanta anni, scelga di tornare al paese d’origine. E non in buen retiro, ma per aprire una libreria. «Sei pazza» le disse Romano Montroni, già direttore delle librerie Feltrinelli e docente alla Scuola per Librai. Credo che tutti le avrebbero detto la stessa cosa. No, io forse no, ma non lo avrei creduto possibile. 

A Lucignana non si va in piano. Si sale con qualche fatica o si scende con molte cautele. Non c’è alternativa. Ci sono passamano per i giorni del gelo. Le gambe sono importanti. Salgo per un vicolo, e non vedo un’indicazione per la libreria. E subito mi distraggo. Ogni nicchia, ogni sportello dell’acqua e del gas o finestrella, è abitata da strane creature: elfi, chiocciole, farfalle, conigli, uccelli che stanno per spiccare il volo, girandole, dinosauri, funghi che vogliono avvisarti. Poi incontro Donatella: «Di là», senza che io chieda niente. 

So già cosa trovarmi davanti, ho già letto il racconto di altri cento giornalisti arrivati fino a qui. Una donna, una poetessa, che apre una libreria in un paese di 180 abitanti è notizia ghiotta. So già cosa mi aspetta, ma l’apparizione del vecchio orto di mamma Iole (una striscia di terra non più larga di due metri che scivola nella scarpata ripida di un classico dirupo garfagnino) stordisce anche la mia immaginazione. Qui Iole coltivava insalate e appendeva il bucato, ora c’è una fila di tavolini, venti sedie in ferro (so anche che nome hanno perché l’ho letto: sono delle Adirondack, prendono il nome da montagne ai confini del Canada, dove un architetto dei primi del ‘900, Thomas Lee, passava le estati – quante cose sto imparando in un sabato a Lucignana), ecco le tazze per il tè da casa inglese, ci sono le piccole Trilly dalle ali di libellula che ti sorridono sedute dalla staccionata di legno, oltre è magnifico il panorama, stretto e avvolgente come un abbraccio, sui boschi che occupano il colle che fa da sipario dell’orizzonte verso Sud. Più lontano, le rotondità nude delle «tette» di Prato Fiorito, due, come sono in natura, montagne-gemelle verso Oriente, morbide e prive di vegetazione. 

In fondo c’è un pesco, in mezzo ai tavolini, un susino. E attorno rose, ortensie e peonie. E fino ai giorni del primo autunno fiorisce il plumbago dalle tinte celesti. Le donne della libreria ti accolgono non appena scendi i tre gradini che conducono alla «libreria». Che è una semplice casetta di legno di quattro metri per quattro. Sugli scaffali i libri ti osservano dalla loro copertina, e sono quelli che sempre hai cercato nei labirinti dei grandi bookstore e quasi mai hai scovato perché sepolti sotto «le novità» e «le sfumature di grigio». Alba ricorda che un giorno un bambino apparve sullo stradello-margine della libreria, e, emozionato, gridò: «Ma questo è il paradiso». E Alba subito dopo ci racconta che Derek Jarman, scrittore inglese, capace di creare un giardino in un’arida distesa di ciottoli di fronte a una centrale nucleare, spiega che la parola «paradiso» deriva dall’antico persiano e significa «luogo verdeggiante». E «arruffato».

Lettori-pellegrini sono come api in un’arnia, guardano, con qualche incertezza, sorpresi dall’offerta di titoli superiore ai loro desideri, gli occhi non sanno dove guardare, le mani non sanno cosa sfogliare. Prendono due libri, tre, quattro e poi si siedono ai tavolini. Leggono, leggono, leggono. Bevono il tè. E poi comprano una copia, due copie, tre copie. Sei salito fino a Lucignana, non puoi andar via a mani vuote.  

Mi sono distratto per davvero, fino a dimenticare di dirvi il nome di questo luogo: Libreria sopra la Penna. Alba sostiene che non può che essere la penna di una gallina. La scrittrice Sandra Petrignani è certa che appartenga agli uccelli il cui canto, al mattino, sveglia Lucignana. La Penna è il nome dello stradello di pietra che sale alla libreria e alla parte alta del paese. I contadini, mi dicono, indicavano così un «luogo alto». 

A valle di Lucignana c’è un fantastico ponte di pietra, dall’ardita architettura a «dorso d’asino». È il «ponte del Diavolo» e il diavolo ci ha provato a infrangere i sogni del piccolo paese. Un mese dopo l’inaugurazione (avvenuta il 7 dicembre del 2019), di notte, un corto circuito ha mandato a fuoco la libreria. «Finisce così la favola di una poetessa che apre una libreria in un piccolo borgo di montagna», scrive Alba. L’epilogo dura lo spazio di un’ora di sconforto. I paesani si stringono attorno ad Alba e vogliono che il sogno prosegua: gettano via quanto non può più servire e tutti assieme cominciano a ricostruire la libreria. Da Lucca, accorre Tessa, una ragazza italo-americana, e non ha dubbi: dona 10mila euro a Lucignana. La libreria riapre. Le donne hanno tenacia, senso di comunità, umorismo, forza, capacità di reazione. Non si arrendono. 

Subito dopo le fiamme, arriva anche la pandemia. Mesi di reclusione, anche se al paese nessuno prende il Covid. Si vive; on-line, ma si vive. La Libreria sopra la Penna è un luogo dolce e gentile, e ha la pelle dura e una pazienza inscalfibile. Il virus deve arrendersi alla sua forza. A questo punto Lucignana ha imparato a volare. In realtà, lo sapeva già fare. Alba mi racconta che qui, nel ventennio nero, nessuno ha mai preso la tessera fascista. Quando saliva qualche capetto dal fondovalle, gli uomini si erano già nascosti nei boschi. 

In questo paese, oggi, nascono bambini, due figli per coppia. Anche tre. Ci sono pochi vecchi, un’età media degli abitanti che oscilla tra i 25 e i 50 anni. E, quasi tutti, sono nati a Lucignana, non se ne sono andati. Alba, no. Lei fuggì a 14 anni, ma mai ha tagliato il cordone che la lega a questo Appennino e alle montagne di Prato Fiorito (non è mai salita fin lassù: ogni mattina, guarda le sue cime rotonde). Sei anni fa ha deciso di tornarvi a vivere, sta via dal paese solo un mese all’anno, febbraio, quando scende a Firenze, sono le «ferie» della libreria.

Il prete, don Giuseppe, ha visto la sua parrocchia che si trasformava grazie ai libri e ha capito tutto: ha aperto le porte della canonica e la famiglia di Rosita (Rosita, Rosi, è meravigliosa) si impegna a cucinare, con felicità, ogni fine settimana. Per i «pellegrini» dei libri. Un invito a pranzo e a cena in famiglia. E se siete stati felici dei maltagliati o dell’arrosto, potete lasciare «quel che è giusto» in una cassetta di legno. Molte case si sono aperte per ospitare i viandanti della lettura. C’è una fila di volontari (volontarie, in realtà, il 98% sono donne) che vogliono venire a «dare una mano» alla libreria per una settimana, per due. Alla fine, alcune affittano una casa.

Si sale a Lucignana anche per un festival che si snoda lungo tutta l’estate fino a godersi l’autunno lucente dei boschi. Arrivano al paese Dacia Maraini, Paolo Nori, Sandra Petrignani, Marcello Fois, Vivien Lamarque, Paolo Di Paolo. Noah è venuta a cantare. L’anno prossimo, forse, arriva anche Patti Smith. 

A Timbuctù, molti anni fa, imparai che non esistono luoghi «sperduti». Nessun posto «sa di essere sperduto», ma è il centro di un mondo. Dipende dagli occhi con cui lo guardi. Lucignana e la sua libreria non è un sogno. Né una favola romantica. Almeno non solo. Alba e i suoi amici sono donne e uomini concreti. Per nascere, e rinascere dopo l’incendio, hanno avviato crowfunding, all’inizio senza nemmeno sapere da che parte si cominciava. Noi l’avremmo chiamata «colletta». Sanno fare i conti e a chi viene a chiedere istruzioni su come si apre una libreria spiegano che occorrono almeno 30mila euro solo per un primo catalogo di libri da esporre. La Libreria sopra la Penna sta lì a dire che «si può fare». 

Vado via con tre libri: il diario di Alba Donati (La libreria sulla collina), mi lascio lietamente convincere a prendere Tutti gli indirizzi perduti di Laura Imai Messina (non sapevo nemmeno chi fosse, ma qui ho visto arrivare una lettera che si era smarrita) e l’amatissima Anne Schwarzenbach, Dalla parte dell’ombra. Tutte donne che scrivono. 

Vado via e ho un desiderio. Vorrei che i tecnici del dipartimento «per le politiche di coesione e per il Sud», ministro Tommaso Foti, sede presso la Presidenza del Consiglio, presidente Giorgia Meloni, salissero a Lucignana. Sono loro ad aver scritto, la scorsa primavera, nelle pagine del Piano Nazionale Strategico per le Aree Interne che lo «spopolamento» dei paesi di montagna è oramai «irreversibile» (obiettivo 4, pagina 45). E che vanno solo «accompagnati» nel loro declino e si esclude che sia possibile una «inversione di tendenza». Sì, loro non avrebbero mai aperto una libreria in una montagna appenninica. Venite a Lucignana a toccare con mano come il destino che voi giudicate inevitabile possa essere ribaltato, magari cambiate idea. Venite, acquistate un paio di libri, mangiate in canonica, chiacchierate con Rosita e con Rebecca, e sedetevi per godervi il tè e il tramonto sulle Apuane. 

Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»! 

Data di aggiornamento: 23 Luglio 2025
Lascia un commento che verrà pubblicato