Il Live Aid di Scarza
«È stato un evento senza precedenti, che ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica leggera, ma per me lo è stato ancora di più perché in quell’occasione ho lavorato a pochi metri dalla casa paterna». Vincent Scarza ricorda con un filo di commozione il 13 luglio 1985. Quel giorno i più grandi talenti della musica leggera si diedero appuntamento tra Londra (Gran Bretagna) e Philadelphia (Stati Uniti) per sostenere con la loro arte i bambini affamati dell’Etiopia. Un evento, di cui Scarza curò la produzione e la regia, che ancora oggi tutti ricordano come Live Aid for Africa, il più grande collegamento satellitare e la più grande trasmissione televisiva a livello planetario di tutti i tempi, capace di tenere incollati davanti al piccolo schermo quasi 2 miliardi di spettatori in 150 nazioni. «Il lavoro, tra allestimento e spettacolo, durò 17 ore, e dovemmo coordinare 4 sale di regia, con 21 telecamere distribuite in tutta l’area dello spettacolo».
Oggi Scarza vive a Pescara, in Abruzzo. Nove anni fa decise di lasciare New York dopo un’intera vita spesa nel mondo del cinema, del teatro e della televisione, partendo dalla sua natia Philadelphia e affermandosi come regista e produttore di successo. In Italia e in Abruzzo ha ritrovato le sue radici, e con la moglie Anne Miller (anche lei impegnata, negli anni, nel settore televisivo e teatrale), ha scelto la città costiera per continuare a elaborare idee e programmi. «Il Live Aid – aggiunge Scarza – è stato solo uno dei miei tanti lavori, ma sicuramente è rimasto un capitolo importante nella mia storia professionale, e mi ha coinvolto fortemente a livello emotivo. Il lavoro mi fu proposto dall’amico produttore Tony Verna che aveva incontrato mia moglie alle Olimpiadi di Los Angeles dove entrambi erano impegnati nelle rispettive televisioni. Con lui accettammo anche di organizzare un evento analogo a Mosca, in Russia, l’anno seguente al Live Aid. Ma era l’epoca dell’esplosione dell’Aids, e il presidente Gorbaciov annullò qualsiasi iniziativa arrivasse dall’estero temendo che il virus potesse diffondersi».
Londra e Philadelphia
Il Live Aid si svolse lo stesso giorno al Wembley Stadium di Londra e al John Fitzgerald Kennedy Stadium di Philadelphia, organizzato dagli artisti britannici Bob Geldof e Midge Ure per ricavare fondi con cui alleviare la carestia in Etiopia. «Lo spettacolo durò 7 ore – ricorda Scarza –, ma poiché le esibizioni di alcuni artisti erano mostrate contemporaneamente nei due stadi, la durata totale del concerto fu di gran lunga superiore. Sicuramente fu il più ambizioso progetto di trasmissione satellitare internazionale mai realizzato fino a quell’epoca, con il 95% delle televisioni mondiali sintonizzate sull’evento».
Sul palco di Philadelphia si esibirono, tra gli altri, Mick Jagger e Tina Turner in un duetto, i Led Zeppelin, i Queen, Bob Dylan, Madonna, Sting, The Who, David Bowie, Paul McCartney, Joan Baez, Sade, i Dire Straits, Santana, Eric Clapton, Huey Lewis & The News, Billy Joel, gli U2, Elton John mentre alla conduzione si alternarono, durante lo spettacolo in diretta, affermati attori come Jack Nicholson, Bette Midler, Jeff Bridges e Chevy Chase. Philadelphia era stata scelta dopo aver scartato New York e Washington, i cui impianti sportivi erano indisponibili per eventi concomitanti. «Sapevamo che a Philadelphia sarebbe arrivato anche Phil Collins – rammenta Scarza sorridendo – . Grazie al volo con l’aereo supersonico Concorde della British Airways, cantò a Philadelphia davanti a 100mila spettatori dopo essersi già esibito a Londra. Quello che non sapevamo era che Phil, a bordo del Concorde, aveva trovato per caso la cantante Cher che non sapeva nulla dell’evento in corso. Così Phil Collins la coinvolse, e Cher apparve a nostra insaputa nel finale del concerto cantando il brano We Are the World con tutti gli altri artisti. Questa sorpresa mitigò in positivo gli eccessi nel backstage di Sean Penn, allora marito di Madonna, e gelosissimo nei confronti di chiunque si avvicinasse a sua moglie».
A Londra il concerto si concluse con gli artisti riuniti nella «Band Aid» che intonarono Do They Know It’s Christmas, mentre a Philadelphia gli artisti riuniti in «USA for Africa» si esibirono invece con We Are the World, scritto da Lionel Richie e Michael Jackson, e destinato a diventare un inno universale, ancora oggi di successo.
La fame in Africa continua
«Di quell’evento – conclude Scarza – ho conservato numerosi ricordi e cimeli, come le firme di tutti gli artisti ospitati all’Hotel Palace. Per me, cresciuto tra le strade di South Philadelphia, figlio di immigrati italiani arrivati dall’Abruzzo, fu davvero emozionante poter lavorare a poca distanza dalla mia casa d’infanzia. Un ulteriore regalo aggiunto ai tanti ricevuti idealmente per aver potuto dirigere un evento che ha lasciato il segno nella storia della musica e dello spettacolo».
Live Aid raccolse la cifra di 127 milioni di dollari di allora (equivalenti a circa 320 milioni di euro attuali). Di questi fondi, purtroppo, e non per colpa degli organizzatori, ben pochi vennero usati per combattere la fame in Africa. Furono spesi in modo tale da non fornire un valido supporto alle popolazioni africane colpite. Perfino la bambina scelta come simbolo dell’evento affermò, anni dopo, che nonostante gli sforzi, tutto era rimasto come prima del concerto.
Oltre a una straordinaria canzone e alle stupende immagini del videoclip, e alle fotografie di Steve Hurrell che raccontò per immagini le intense emozioni di quelle ore, quel che rimane di Live Aid è il ricordo di tutti gli artisti che riuscirono a mettere a disposizione la propria arte per una causa nobile.
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