Arrivederci Goffredo
Goffredo Fofi se n’è andato, ci ha salutato in una calda giornata di luglio, dopo 88 anni vissuti intensamente (era nato a Gubbio il 15 aprile del 1937), con una rara onestà intellettuale e una costante attenzione agli ultimi, agli emarginati.
Da anni (per la precisione dal 2015) collaborava con la nostra rivista.
È ancora vivo il ricordo del nostro primo incontro. Era arrivato in treno a Padova da Roma, con il suo immancabile bastone e lo zainetto sempre a spalla, aveva preso il tram e noi eravamo andati ad accoglierlo alla fermata. Un po’ timorosi, a dire il vero, perché, oltre alla sua fama (che nel suo caso corrispondeva del tutto alla realtà) di grande intellettuale, lo precedeva anche quella di avere un carattere non facile. Ci aveva ascoltato e osservato attentamente per almeno un paio d’ore, quasi senza proferire parola. Dopo l’incontro, nel corso del quale gli avevamo proposto di scrivere per la nostra rivista, eravamo andati tutti insieme a pranzo, in quella che allora era la nostra «mensa», una sorta di tavola calda vicina alla redazione. Un posto semplice ma vivace, frequentato anche da tanti giovani studenti, come piaceva a lui. Solo al ritorno, rientrati in redazione, ci ha guardati con una specie di sorriso sardonico (che, poi, avremmo imparato con il tempo, era sempre anticipato dal sorriso buono dei suoi occhi) e ci ha detto: «Siete fortunati. Mi piacete». Solo queste parole, seguite da un «sì», sì, avrebbe collaborato con il «Messaggero di sant’Antonio».
In questi dieci anni innumerevoli sono state le occasioni di incontro, qui a Padova, ma anche a Torino, al Salone del libro, e a Roma. Nel 2016 aveva partecipato, per tre volte consecutive, alle settimane di formazione dei frati, portando la sua esperienza di impegno concreto per rispondere alle sfide che il presente stava ponendo a chi credeva ancora nell’umano. Ogni volta che passava a trovarci ci lasciava un libro, ogni volta c’erano confidenze sulla sua lunga e buona vita e letture profonde di quanto stava avvenendo a livello sociale e politico. Ogni volta ci raccontava dei suoi progetti futuri e ci mostrava quanto vivo fosse ancora in lui il desiderio di creare rete, di diffondere le idee buone, quelle che costruiscono giustizia e solidarietà.
«L’umanità merita di estinguersi» ci ripeteva negli ultimi anni, dinanzi allo scempio nei confronti dell’ambiente. Ma era il suo spirito combattivo a parlare. Quello che non si rassegnava a una società che sta dimenticando gli ultimi, i poveri. Che distrugge con spirito di sopraffazione il creato. Che rifiuta lo straniero (lui, che «Lo straniero» aveva voluto chiamare una delle sue riviste). Era un combattivo Goffredo, ma mai per sé. Combatteva, con la forza dell’intelletto e di una vita coerente, in nome di ideali «alti», in nome di quanti vengono emarginati da una società competitiva, una società che ha dimenticato che l’ospite, colui che giunge inatteso, è sempre sacro. Combatteva in nome di un ambiente offeso e depredato dall’uomo. Combatteva, soprattutto, in nome dei giovani, che tanto ha amato nella sua vita. Molti ne ha fatti crescere nelle sue riviste e ancora negli ultimi anni era per loro la sua più grande preoccupazione, per l’eredità di devastazione ed egoismo che gli stiamo lasciando.
Questo è stato il «nostro» Goffredo. Un grande intellettuale, certo, anche se questa parola lui non la sopportava. Ma per noi è stato semplicemente un amico e un maestro, quello che rivendicava di essere stato per tutta la vita. «Sono un maestro elementare» ci aveva infatti orgogliosamente detto il giorno del nostro primo incontro. Un maestro che ha saputo essere anche un testimone coerente. Ci mancherai Goffredo. Ci mancherà la tua burbera bonomia, la tua vivace intelligenza, la tua critica costruttiva, la tua generosità. Ci mancheranno le tue parole. Ci mancherà il tuo sorriso.