Maestre di penna (e di tastiera)
A una recente fiera dell’editoria, una delle mille e delle troppe, mi è capitato di dover presentare un libro di scritti giornalistici di Alfonsina Storni, una poetessa argentina che si suicidò buttandosi in mare perché malata di cancro nel 1938, celeberrima nel suo Paese e in America Latina. (Un’altra grande argentina, la cantante Mercedes Sosa, quella di Gracias a la vida, rese famosa una canzone molto bella ispirata alla sua morte, Alfonsina y el mar). La lettura dei suoi scritti giornalistici del 1920-21, in genere ritratti di personaggi e gruppi femminili, ma senza nome: sartine e signore, dattilografe e ricamatrici eccetera, abitanti di una metropoli che cresceva e cresceva, pubblicati dall’editore ticinese Casagrande (Cronache da Buenos Aires) e la recente raccolta degli articoli di Irene Brin scritti per il settimanale «Il mondo» nel secondo dopoguerra (Il mondo) delle edizioni Atlantide, mi hanno fatto pensare alle molte giornaliste che mi è capitato di conoscere, prima tra tutte un’amica formidabile come Camilla Cederna.
Ma ho conosciuto anche Anna Garofalo (che scrisse delle inchieste sulla condizione femminile in Italia prima del boom, che meriterebbero di venir ristampate, L’italiana in Italia), Lietta Tornabuoni, Silvia Giacomoni, Grazia Cherchi, Natalia Aspesi, Irene Bignardi e altre maestre della penna che hanno saputo, partendo dall’analisi del costume e delle sue mutazioni, raccontare la nostra società nei suoi cambiamenti con un calore e con uno humour assenti quasi sempre nei loro colleghi uomini. D’altra parte, pensando alle loro biografie (ci aggiungo la Fallaci, che non ho conosciuto e che apparteneva a un altro tipo di scrittrici, di modello piuttosto virile, alla Jack London di cui era ammiratrice) mi è facile constatare che la loro carriera professionale è stata sempre molto più dura di quella dei giornalisti, e per l’appunto le «cronache femminili» erano il campo in cui le si lasciava esprimere non credendole adatte ai temi «seri», sociali o politici e neanche culturali.
Nella mia vita credo di avere imparato molto più dalle donne che dagli uomini, e ho la fortuna di avere buone maestre che hanno saputo criticarmi al momento giusto e a volte duramente – e prima o poi ne dovrei raccontare. Dai padri, si diceva un tempo, si eredita il super-io, la morale, e dalle madri i sentimenti. Non è sempre vero, un giusto super-io nasce dal contatto con buoni «padri» e buone «madri», e dalle madri (e dalle amiche) si può avere qualcosa in più che è invero fondamentale, lo stimolo a giudicare la vita con uno sguardo mai freddo e distante, a investirsi dei problemi e se necessario delle sofferenze altrui, ad affrontarle con la giusta pietà e la giusta partecipazione. Nelle giornaliste che ho ricordato c’era un’altra qualità di cui si tiene poco conto: un’ironia spesso aguzza ma mai davvero malevola, e spesso rivolta anche contro se stesse. Mai mettersi al centro del mondo e mai comportarsi da inflessibili giudici, chissà poi con quale legittimazione!, ricordando sempre che nessuno è perfetto.