Malattie genetiche rare, il dolore muto

Due milioni in Italia e 30 milioni in Europa sono le persone, per il 70% bambini, affetti da malattie genetiche rare. Un’azione di pastoral counseling è la proposta di Chiara Gatti, counselor professionista, per aiutare le famiglie di questi piccoli.
13 Maggio 2025 | di

«Vivere a contatto con una malattia genetica rara è come abitare in una di quelle periferie di cui parla spesso papa Francesco». A dirlo, Chiara Gatti, cesenate, counselor professionista a indirizzo gestaltico che da tempo si occupa, con un progetto di pastoral counseling basato su gruppi di auto-mutuo-aiuto per genitori, di famiglie con bambini affetti da queste patologie.

Msa. Chiara Gatti, cominciamo dal principio: che cosa sono le malattie rare? 

Gatti. Secondo la definizione dell’OMAR (Ossevatorio Malattie Rare), una malattia si definisce «rara» quando la sua prevalenza (cioè il numero di casi presenti su una data popolazione), non supera una certa soglia. Il numero di malattie rare conosciute e diagnosticate attualmente è di circa 10 mila, ma è una cifra che cresce con l’avanzare della scienza e, in particolare, con i progressi della ricerca genetica. Stiamo dunque parlando non di pochi malati. La rete Orphanet Italia dice che nel nostro Paese i malati rari sono circa 2 milioni e, nel 70% dei casi, si tratta di pazienti in età pediatrica. I dati della Commissione Europea, parlano di 30 milioni di persone nel vecchio continente. 

Che cosa succede in una famiglia quando fa il suo ingresso un figlio con una malattia genetica rara? 

Stiamo parlando di malattie genetiche rare gravi, con diagnosi spesso infausta, quali ad esempio possono essere le malattie neurodegenerative infantili. In questi casi l’immagine che rende meglio la situazione è l’uragano. La percezione per una famiglia è che niente possa più essere come prima. I ritmi di vita sono sconvolti da ricoveri, cure nuove, inquietudini in attesa di responsi… spesso si devono prendere delle pause dal lavoro, perché questi bambini devono essere curati e accuditi secondo tempi e modalità nuove e diverse rispetto al tran tran della vita di prima. Se sono presenti altri figli, questi spesso devono essere affidati per un certo tempo ai nonni o ad altri parenti, mentre almeno un genitore vive le varie trafile ospedaliere… Insomma, tutto cambia purtroppo in maniera spesso veloce e senza alternativa. Nel caso poi di assenza di diagnosi, le cosiddette malattie «orfane», si incontrano famiglie che da anni peregrinano da un centro specializzato all’altro per diagnosticare la patologia ed eseguire esami complessi, soprattutto in attesa delle ricerche genetiche che hanno tempi molto lunghi.

Ma qual è il problema più grande che i genitori si trovano ad affrontare, al di là delle cure?

Gli stati d’animo più frequenti sono la sensazione di isolamento, di invisibilità, di insignificanza sociale e disillusione sulla speranza di vita relativa ai propri figli. Tale condizione produce spesso un vissuto esistenziale «pesante» (per le cure ai figli e per lo stile di vita obbligato a oggettive esigenze), che si lega a una sorta di elaborazione di un lutto grave. Ci si sente molto diversi dagli altri, ad esempio dalle famiglie dei compagni o amici di scuola dei propri figli, mentre spesso si avverte di essere capiti solo da altri che fanno la stessa esperienza e possono condividere anche le emozioni difficili derivanti da comuni vissuti.

Come nasce il suo interesse in tale ambito? 

Per esperienza familiare mi sono trovata in prima persona a conoscere molti genitori che vivevano questo dramma e ciò mi ha portato a vivere vicino a loro numerosi momenti in spazi comuni come sale di attesa d’ospedale, reparti di degenza di neuropsichiatria infantile, dove spesso si incontrano situazioni di bambini e ragazzi anche molto gravi e non autosufficienti, la cui vita dipende da cure salvavita, da macchinari e dall’assistenza continua di un caregiver, che il più delle volte è proprio la madre stessa o il padre. Da qui l’idea che occorresse fare fronte in qualche modo al grido sommerso di questa «periferia» estrema che, fin dal primo momento, mi ha colpito e ha suscitato in me un forte richiamo a impegnarmi in una sorta di pastorale di «frontiera» rivolta a queste famiglie e a questi pazienti, talvolta non visti sufficientemente a livello sociale, insomma anche loro vittime di una cultura dello scarto, per dirla con papa Francesco.

In che modo pensa di aiutare queste famiglie?

Penso che la prossimità, il semplice stare accanto, sia il primo aiuto in questa situazione, una prossimità delicata, mai imposta ma proposta in forme studiate per essere compatibile con condizioni e tempi di vita spesso modulati sulle cure al proprio bambino/a. Il secondo passo è quello di creare spazi, preferibilmente online, per favorire le esigenze di questi genitori, nei quali la narrazione della propria situazione ad altri genitori che vivono condizioni simili diviene motivo di solidarietà e reciproco aiuto. Infine, il dare ai genitori la possibilità di esternare emozioni difficili, legate ai relativi vissuti, con la certezza di essere accolti e non giudicati, proprio per poterle affrontare e gestire al meglio.

In che cosa consiste concretamente questo approccio? 

Questa realtà di aggregazione spontanea è un modello per un progetto strutturato, in cui questi tempi e spazi vengono offerti come «respiro» ai genitori. Si tratta, in sostanza, di un metodo di auto-mutuo-aiuto con la figura di un counselor (che può essere affiancato anche da un sacerdote, collocando in tal modo l’esperienza nell’ambito della proposta pastorale: questo è il mio progetto specifico), che faccia da trainer per il gruppo di genitori che si ritrovano online. Mi ispiro al metodo di counselling gestaltico di gruppo per l’elaborazione del lutto genitoriale secondo la Gestalt Therapy, messo a punto dalla dottoressa Agata Pisana, counselor formatore e supervisore. In un suo recente testo, La giusta distanza dalle stelle (Àncora, 2024), la dottoressa Pisana espone la sua più che ventennale esperienza di professionista volontaria che, insieme a un sacerdote, porta avanti, nella sua diocesi di Ragusa, gruppi AMA (auto-mutuo-aiuto) per genitori che vivono il dramma della perdita di un figlio. Si tratta di un testo prezioso sia per narrazione biografica di esperienze umane intense sia per valenza teorica, costituendo per questo un valido testo per operatori nel settore delle relazioni di aiuto. 

Come si struttura il percorso?

Viene proposto un percorso di cinque incontri, di circa un’ora e mezza, due ore al massimo, ciascuno, da svolgersi online con cadenza settimanale, in fascia oraria serale. Ogni gruppo è composto da un minimo di tre famiglie (uno o entrambi i genitori) fino a un massimo di cinque. Gli incontri sono scanditi secondo una griglia di argomenti per macro aree: Noi e nostro figlio paziente; Noi e il contesto familiare (e altre relazioni significative); Noi coppia di fronte alla malattia di nostro figlio; Noi e il rapporto con il mondo medico; Noi e il rapporto con noi stessi (che genitori e che persone ci sentiamo).

Abbiamo parlato di counseling gestaltico, ma che cos’è la Gestalt Therapy? 

La psicoterapia della Gestalt nasce negli Stati Uniti attorno agli anni Cinquanta del secolo scorso. Tale orientamento si origina da una matrice freudiana, ma incontra presto il mondo della fenomenologia e l’importanza dell’esperienza. La teoria della Gestalt Therapy si incentra, infatti, sull’importanza del qui e ora nella relazione, sulla centralità del contatto tra Organismo (persona) e Ambiente (ciò che lo circonda, altre persone…) e sulla visione del sé come equilibrio tra tre funzioni fondamentali: «che cosa sento», «che cosa voglio» e «chi sono» ogni volta che vivo un’esperienza nel ciclo di contatto. Chiamando ancora in causa il libro di Agata Pisana, l’autrice, citando a sua volta Vinanda Var, scrive che «a livello di processi di gruppo (come sono quelli dei gruppi AMA, ndr), “se una persona sente qualcosa all’interno del gruppo, dato lo sfondo condiviso, ciò implica che almeno un’altra persona sente o sperimenta qualcosa di simile. [...]” ». ll che, parafrasando sempre il testo, significa che c’è una sorta di energia (psicologicamente intesa) che si crea nel gruppo, che sostiene e incoraggia i processi di elaborazione: accade spesso, infatti, che quanto una persona dice, dia in realtà voce anche a ciò che altri sentono ma non riescono a esprimere. E questo è davvero prezioso. Personalmente mi sono formata presso l’Istituto di Neuroscienze e Gestalt Therapy «Nino Trapani» di Siracusa, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, creato e diretto dalla professoressa Paola Argentino, che da anni organizza master universitari nell’ottica della spiritualità del prendersi cura. A lei devo l’idea luminosa che anche quando non si può guarire, si può sempre curare. Ed è ciò che mi propongo di fare con questi genitori.

Quale consiglio darebbe ai genitori che si trovassero all’improvviso dinanzi a questo problema?  

Di non vivere da soli il proprio dolore, perché insieme la pena è più sopportabile. Personalmente mi rendo disponibile, gratuitamente, a essere contattata (alla mail gattichiara4@gmail.com) dai genitori che lo desiderassero, per avviare insieme a loro uno dei percorsi AMA di cui abbiamo parlato poc’anzi. È anche possibile avvicinarsi a una delle associazioni che raggruppano famiglie che affrontano lo stesso problema. Ci sono infatti «associazioni di patologia», che raggruppano di volta in volta i genitori dei piccoli colpiti da una specifica malattia, e «associazioni di condizione», che raccolgono famiglie con bambini affetti da svariati tipi di patologie genetiche rare con diverse gravità. Tra queste ultime vorrei citare un esempio a me caro: l’associazione «VoaVoa! onlus Amici di Sofia» (www.voavoa.org) che, oltre a fornire informazioni e supporto alle famiglie, si occupa di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dello screening neonatale della leucodistrofia metacromatica, anche intervendo a livello di istituzioni. Tale screening (del costo di pochi euro), già attivo in Toscana e Lombardia e in via di definizione in Emilia Romagna, permette di diagnosticare la malattia alla nascita, salvando la vita ai bambini.

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Data di aggiornamento: 13 Maggio 2025
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