Parlando, parlando
Molte delle cose più brutte nelle nostre città non sono volute intenzionalmente da persone cattive né estremiste, ma emergono dalle interazioni tra persone moderate, che non sono coscienti delle conseguenze di regole di comportamento da loro avvertite come normali.
Tra gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, l’economista e premio Nobel Thomas Schelling dimostrò che situazioni di totale segregazione etnica o religiosa derivano da preferenze individuali tutto sommato blande e condivisibili. Per avere quartieri totalmente mono-etnici non è necessario che i cittadini pensino: «Non voglio avere nella mia area nessuna persona di un altro gruppo etnico»; è invece sufficiente che ciascun residente applichi una regola molto meno intollerante: «Non voglio vivere in una zona dove più di un terzo degli abitanti sia di un altro gruppo etnico». Oppure, per un altro esempio, basta che il primo giorno di scuola le ragazze pensino: «Non voglio stare in un banco in mezzo a due maschi», perché la classe si suddivida perfettamente tra maschi e femmine.
I famigerati algoritmi di Facebook e di altri social network si basano su regole simili; ma, anche in questo caso, regole blande e moderate producono effetti molto rilevanti e radicali, e sui quali non si discute abbastanza. Infatti, anche se la metafora del web (rete o ragnatela) non ci aiuta a capirlo, il mondo dei social è radicalmente segmentato e, cosa ancora più seria, la segmentazione si auto-alimenta e nel tempo diventa sempre più perfetta.
Per capirlo basta pensare che quei sofisticatissimi sistemi ci mostrano (quasi) esclusivamente notizie e messaggi di persone simili a noi. Sulla nostra pagina ci raggiunge soltanto quella frazione di rete che condivide il nostro pensiero, e che quindi amplifica e rinforza le nostre convinzioni. Con una conseguenza particolarmente grave anche perché sottovalutata. I singoli gruppi culturali e politici leggendo soltanto o soprattutto i post di chi condivide le stesse idee finiscono per radicalizzare le proprie opinioni, diventano sempre più auto-referenziali e combattono nemici sempre più nemici e distanti. I gruppi non dialogano, ciascuno parla solo con se stesso.
La società civile è la sinfonia delle diversità, dove cresciamo perché ogni giorno andiamo in crisi per le idee diverse dalle nostre e il giorno dopo «risorgiamo» più liberi, più tolleranti e con dentro di noi un po’ delle idee degli altri diventate, parlando parlando, parzialmente anche nostre.
La dinamica sociale e politica è stata capace di generare in Occidente democrazia e pace per molti decenni, perché dialogando e discutendo ogni giorno tra diversi abbiamo tutti assorbito le idee di tutti gli altri, e quelle discussioni ci hanno fatto simili pur restando diversi. Dialogando e litigando con gli altri in realtà dialogavamo e litigavamo con una parte di noi stessi (su questa stessa base, per analogia, è possibile il dialogo tra credenti e non credenti). La vita politica e sociale in questi ultimi anni è molto peggiorata perché ci mancano contatti veri con diversi veri (incontri con i corpi non solo con le tastiere). Ci manca l’esercizio della conviialità delle differenze, ci manca la capacità di sentire le idee dell’altro anche mie, perché nate dal dialogo-scontro con lui, con lei.
E quindi ci manca la gratitudine civile verso chi non la pensa come me, che è il primo mattone di ogni buona convivenza.
@bruniluis