Passione bio
Gli italiani amano il biologico. Lo dicono i dati di Coldiretti (la principale organizzazione di imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo), secondo i quali l’acquisto di prodotti bio made in Italy nel 2021 ha raggiunto il record di 7,5 miliardi di euro di valore, tra consumi interni ed export. Non solo: nell’ultimo decennio, le vendite totali di prodotti biologici sono più che raddoppiate (+122 per cento) e la nostra nazione, con i suoi 70 mila produttori che coltivano complessivamente oltre 2 milioni di ettari di territorio, è leader a livello europeo per numero di imprese agricole bio.
Da che cosa nasce questa passione green? A sentire le varie associazioni di produttori del biologico e di consumatori, sono sostanzialmente tre le ragioni che spingono in tale direzione e hanno a che fare con la stessa natura del bio. Innanzitutto, la sostenibilità ambientale garantita da metodi di coltivazione che, escludendo l’utilizzo di sostanze chimiche, prediligono le sostanze naturali, preservando così sia la biodiversità che la ricchezza florofaunistica dei territori. In secondo luogo, il benessere degli animali, i quali negli allevamenti bio non solo hanno a disposizione ambienti più ampi e possono facilmente accedere agli spazi esterni, ma vengono anche alimentati in prevalenza con cibi biologici, mettendo così un freno all’utilizzo di sostanze potenzialmente nocive per l’essere umano, che potrebbero venire assimilate attraverso la catena alimentare. In terzo luogo, la sicurezza, visto che la certificazione biologica si ottiene solo a seguito di rigorosi e continui controlli, uguali in tutta l’Unione Europea.
Ecco spiegate, quindi, le reazioni estremamente positive che hanno salutato, nella stragrande maggioranza dei casi, la proposta di legge sul biologico, approvata in via definitiva dal Senato lo scorso 2 marzo. Ma, in definitiva, che cosa cambia con questa norma così importante che è giunta dopo ben 15 anni di attesa? Innanzitutto, va sottolineato che la legge si muove in due direzioni: da un lato, infatti, c’è il riconoscimento di quanto il comparto bio ha già realizzato, dall’altro ne viene promossa ulteriormente la crescita in vista di uno sviluppo che sia sempre più sostenibile. Inoltre, si tratta di una legge quadro, cioè di una legge che prevede sin da ora ulteriori decreti legislativi del Governo, in grado di modificare le norme preesistenti sulla base dei principi in essa sanciti.
Le novità della legge
I più importanti cambiamenti introdotti dalla norma – intitolata Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico, Legge n. 23/22 del 9 marzo 2022 – toccano essenzialmente tre aree. La prima riguarda la tutela dell’agricoltura biologica. In tale ambito la novità più eclatante (ma anche la più discussa) è la nascita del Marchio biologico italiano (unico caso in Europa e, secondo alcuni esperti, destinato a venire bocciato dall’Unione Europea), che consentirà ai consumatori di riconoscere i prodotti biologici totalmente made in Italy. È anche prevista la predisposizione di un piano d’azione nazionale con cadenza triennale (aggiornato ogni anno) e di un piano per le sementi biologiche e la loro certificazione, finalizzato ad accrescere la disponibilità di tali sementi e a migliorarle qualitativamente.
La seconda area concerne il rafforzamento della filiera e del lavoro nel campo del bio. In questo caso si prevede l’istituzione di un Fondo per lo sviluppo della produzione biologica, alimentato – con un contributo annuale del 2 per cento del fatturato dell’anno precedente – dalle imprese che commercializzano prodotti fitosanitari (pesticidi) e fertilizzanti, entrambi nocivi per l’ambiente. Una parte di tale Fondo, poi, è destinato al finanziamento di programmi di ricerca e innovazione. Viene inoltre introdotta la possibilità di ottenere agevolazioni per le imprese che vogliano convertirsi al biologico, anche stipulando contratti di rete e di tipo cooperativistico tra produttori.
Terza area coinvolta è quella della formazione professionale degli addetti al settore, anche attraverso specifici percorsi formativi nelle università pubbliche, e dell’incentivazione all’aumento dei consumi di prodotti bio. Qui la novità di maggior rilievo è la creazione dei biodistretti o distretti biologici, territori nei quali non solo la coltivazione, l’allevamento e la trasformazione agroalimentare di prodotti bio siano prevalenti, ma dove sia anche prevista l’integrazione con il tessuto produttivo locale. Programmato anche il miglioramento del sistema di controllo e certificazione, grazie all’impiego di piattaforme digitali che possano garantire informazioni sulla provenienza, qualità e tracciabilità dei prodotti.
Inoltre, ci si propone di aumentare il consumo di prodotti biologici nelle mense pubbliche e private (in regime di convenzione) e di incentivarne il consumo in generale, anche attraverso iniziative di informazione ed educazione ai cittadini. Viene infine confermato il tavolo tecnico, già operativo da tempo, con funzioni di controllo e indirizzo, al quale partecipano numerosi rappresentanti di enti e associazioni del settore.
«Il nostro Paese ha finalmente la sua legge sul biologico, che renderà l’Italia del bio ancora più competitiva sul mercato nazionale e internazionale» ha affermato, all’indomani dell’approvazione in Senato, il sottosegretario al ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf), con delega all’agricoltura biologica, Francesco Battistoni. Il quale, intervistato in seguito da «Terra è vita», ha sottolineato come «il Mipaaf sta credendo molto in questo comparto, che ci vede tra i maggiori leader mondiali sotto ogni punto di vista. È importante premere sull’acceleratore perché, incentivando la produzione, possiamo raggiungere i più ambiziosi obiettivi, tra i quali anche un ritorno alla terra da parte delle nuove generazioni che vedono nel biologico una grande opportunità».
Un entusiasmo cui hanno fatto eco le principali associazioni di categoria, come si legge nella nota congiunta di Aiab, AssoBio, Associazione Biodinamica, AssocertBio e FederBio: «Il nostro Paese ha un primato nel biologico conquistato grazie all’impegno di tanti agricoltori, spesso giovani, e di operatori della filiera che hanno creduto nella scommessa di conciliare il legittimo interesse d’impresa con il bene pubblico della difesa del suolo, della biodiversità e della salute dei cittadini. (…) Il biologico rappresenta un’occasione concreta per creare opportunità di occupazione per i giovani e per lo sviluppo economico e sociale dei territori rurali, inoltre ha un ruolo centrale per il clima, per la tutela della biodiversità e per offrire soluzioni innovative per il resto dell’agricoltura».
Il volto giovane del bio
Aspetto importante e caratterizzante del comparto biologico nostrano è la giovane età dei suoi addetti. Secondo lo studio La riscoperta dell’agricoltura nella youth economy, realizzato da Fondazione Enpaia e Censis – che fotografa il nuovo rapporto dei giovani con la terra, la produzione e il consumo del cibo, con l’impresa e il lavoro in agricoltura – per i giovani tra i 16 e i 35 anni l'agricoltura è il comparto che meglio e prima di altri ha risposto all'urgenza della sostenibilità ambientale e della lotta al riscaldamento globale. Inoltre, per quasi nove ragazzi italiani su dieci l’agricoltura è un settore in grado di creare occupazione di qualità e capace di fare da traino anche per il turismo e tutta la filiera del food. Forse anche per questo l’età degli imprenditori agricoli si sta abbassando.
A dirlo sempre il Rapporto Enpaia-Censis, secondo il quale negli ultimi dieci anni, l’11,3 per cento delle nuove realtà agricole registrate ha un titolare giovane, vale a dire che sarebbero 32 mila le aziende agricole con a capo un Millennial (nato tra il 1981 e il 1996) o un appartenente alla Generazione Z (tra il 1997 e il 2010). Aziende capaci di coniugare alta densità di tecnologie con attenzione all’ambiente e per questo nella quasi totalità dei casi votate al biologico.
Una speranza concreta in tempi in cui di speranza c’è gran bisogno. Anche a fronte della strumentalizzazione degli effetti della guerra in Ucraina, allo scopo di ridurre le garanzie di qualità e sicurezza degli alimenti e la trasparenza dell’informazione ai consumatori, che portano a sostenere (come ha fatto il colosso cinese dell’agrochimico, Syngenta) che oggi, di fronte alla minaccia di una crisi alimentare globale, sia necessario rinunciare del tutto all’agricoltura biologica per ottenere rese produttive maggiori.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!