Pentimento a orologeria

In due occasioni Mark Zuckerberg ha chiesto scusa per i danni arrecati dai suoi social, ma il pentimento non ha cambiato né modalità né affari.
10 Aprile 2024 | di

«Nessuno dovrebbe subire quanto avete sofferto voi, mi dispiace». Con queste parole Mark Zuckerberg, uno degli uomini più ricchi del mondo, il 31 gennaio scorso si è scusato coi familiari dei ragazzi americani che hanno perso la vita o la salute mentale per colpa di Facebook e degli altri «social network». È accaduto durante un’audizione davanti al Senato degli Stati Uniti: i responsabili delle principali piattaforme sociali erano stati chiamati a rispondere dei danni provocati sui minori, ovvero dipendenza da smartphone, bullismo, promozione di sfide pericolose o di droghe, istigazione al suicidio. «Avete le mani sporche di sangue» ha chiarito un senatore agli AD delle aziende convocate. La seduta, in diretta tv, è stata uno straordinario momento di auto analisi sul «lato oscuro» della società digitale. Ma cambierà realmente qualcosa? I motivi per dubitarne sono molti.

Quelli che lo frequentano dicono che una delle regole di vita di Mark Zuckerberg è «prima spara, poi chiedi perdono». Detto altrimenti, se vuole fare qualcosa non si ferma a valutare i rischi, agisce, poi, se va male, c’è la scappatoia delle scuse. Clamoroso il precedente del 2018: lo scandalo Cambridge Analytica, la rivelazione che i dati di 87 milioni di utenti Facebook erano stati raccolti e usati a scopi politici per interferire coi processi elettorali. In quell’occasione Zuckerberg se l’era cavata ammettendo di aver commesso degli errori sul tema della privacy e se ne era assunto la responsabilità. E pure una multa da 5 miliardi di dollari era stata assorbita da Facebook senza problemi, gli affari erano andati avanti come nulla fosse.

Per capire il perché, dobbiamo ricordare che la società controllata da Mark Zuckerberg (oggi Meta) è un gigante. Nel 2023 ha registrato ricavi per 135 miliardi di dollari con un utile di 14 nel solo quarto trimestre dell’anno. La macchina aziendale è alimentata da tre motori: Facebook (3 miliardi di utenti nel mondo, 35 milioni in Italia, il 57 per cento della popolazione), Instagram e WhatsApp con 2 miliardi di utenti ciascuno. Le entrate vengono dalla pubblicità che si basa sulla lettura dei dati personali dei navigatori: più tempo stanno sulle tre piattaforme, più contenuti condividono, più crescono i ricavi. Per questo tutto è programmato per incentivare curiosità, emozioni e permanenza degli utenti.

Noi spesso siamo portati a giudicare il mondo dei social a partire dai comportamenti degli utilizzatori. Il discorso ha un senso, perché una maggiore educazione è fondamentale per un uso corretto. Ma ci vorrebbe altrettanta attenzione agli intrecci tra interessi della grande finanza e aziende Hi-Tech, protese, dalla logica delle quotazioni di borsa, a realizzare sempre maggiori profitti. Questo le porta ad avere un atteggiamento piuttosto cinico verso gli effetti che le intelligenze algoritmiche producono sulla società. Nell’udienza davanti al Congresso Usa, un altro senatore ha replicato a Zuckerberg: «Non abbiamo bisogno di scuse ma di informazioni dettagliate sulla vostra attività». Intanto la città di New York ha deciso di fare causa alle compagnie che gestiscono i social per i danni sui minori. In mancanza di misure politiche efficaci, il nostro futuro digitale pare insomma destinato a finire nelle mani dei tribunali.

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Data di aggiornamento: 10 Aprile 2024
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