Perché tutti siano una sola cosa
«Tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato». Queste parole, pronunciate da Gesù nella lunga preghiera che si trova nel capitolo 17 del vangelo di Giovanni, invitano a riflettere sul tema dell’unità dei cristiani. Una questione che da sempre ha interessato la Chiesa, fin dalle origini: infatti, è inevitabile che ci siano prospettive diverse, modi particolari di vivere la propria fede, esperienze vissute che chiedono di essere valorizzate. Per questo, già nei primi secoli, a livello diocesano e regionale vennero celebrati dei Sinodi, occasione di discussione su questioni di disciplina, culto e dottrina, ma anche espressione della comunione tra le Chiese. Preservare l’unità non è mai un compito facile e la divisione è sempre dietro l’angolo, per tante ragioni; quando la situazione si faceva particolarmente grave veniva convocata l’assemblea di tutti i vescovi, il concilio. Il primo è stato quello di Nicea, del 325, esattamente 1.700 anni fa: in esso si stabilisce la fede nella divinità di Gesù Cristo e nella sua uguaglianza con il Padre, aspetti centrali del credo cristiano, la cui negazione minacciava l’unità di Dio e della Chiesa stessa.
Purtroppo, nei secoli, si sono determinate divisioni sempre più importanti, dando luogo a una spaccatura nella Chiesa, frazionata soprattutto tra cristiani Ortodossi, Riformati e Cattolici. Le cause di questo vanno ricercate soprattutto nel contesto culturale, in dinamiche di potere ed eventi che hanno segnato un solco e posto delle differenze che sono diventate inconciliabili e insormontabili; una contrapposizione tale da diventare motivo di conflitto, come nel caso della Guerra dei trent’anni (1618-1648). Quanto lontani dall’invito evangelico dell’amore reciproco o addirittura dell’amore per i nemici! Eppure, i valori sui quali si fonda la vita di una comunità possono diventare oggetto di una strenua difesa, proprio per proteggere quanto si ha di più importante. Soprattutto con l’Ottocento ha iniziato ad affacciarsi una nuova situazione: nelle terre di missione, cristiani di varie confessioni annunciavano il Vangelo, ma erano divisi e questo nuoceva alla testimonianza. Per questo si è sviluppata una riflessione e un movimento, quello ecumenico, che ha trovato il suo inizio formale nella Conferenza mondiale delle società missionarie protestanti e anglicane a Edimburgo (1910).
Anche la Chiesa Cattolica ha cominciato a sostenere l’ecumenismo, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, in un cammino che necessita di gradualità e attenzione, per non cadere nell’indifferentismo, col rischio di appianare troppo facilmente differenze e difficoltà. Quanto si è cercato di fare è anzitutto riconoscere la fede comune, a partire dal sacramento del battesimo e dalla Parola di Dio: in particolare, il battesimo «costituisce il vincolo sacramentale dell’unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati», pur essendo solo l’inizio della vita in Cristo (cfr. Unitatis Redintegratio, decreto sull’Ecumenismo del Concilio Vaticano II). Allo stesso tempo, l’impegno ecumenico è occasione per scoprire quanto fa parte della tradizione di ciascuna confessione, che spesso è ricchezza da valorizzare: ad esempio l’iconografia e la liturgia ortodossa, oppure la centralità della Scrittura nelle confessioni riformate. Anche la riflessione teologica sta facendo passi importanti, favorendo la comprensione delle diverse prospettive. Ma il cuore del cammino ecumenico è la preghiera, che fin dall’inizio ha accompagnato questo percorso e che si unisce a quella di Gesù: perché in Lui, tutti i cristiani siano una cosa sola.
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