Persuasione occulta
Sarà capitato più o meno a tutti di sentire espressioni quali: infobesità, sovraccarico informativo, smog di dati, inquinamento informatico. Già Paul Valéry, ne La crisi dello spirito (1919), denunciava gli effetti della sovrabbondanza informativa dei media del tempo (stampa, radio, cinema), con gli esiti di dispersione e disorientamento che ne seguivano. I media digitali certamente enfatizzano questo scenario. Il ritmo della circolazione dell’informazione è accelerato, le tecnologie sempre più immersive e ubique, gli smartphone sempre accesi. Possiamo cambiare spazio e tempo in permanenza: siamo ovunque e da nessuna parte, e alla fine non sappiamo più dove siamo.
Perciò aumenta la difficoltà a orientarci e diventiamo più vulnerabili. E di questo approfittano le più sottili tecniche di marketing, che si appoggiano agli studi di psicologia del comportamento e alle neuroscienze per mettere in atto efficaci e invisibili strategie di persuasione. Esiste persino una disciplina, chiamata «captologia» (dall’acronimo CAPT: Computers As Persuasive Technologies), che studia l’impatto delle tecnologie interattive su comportamenti, abitudini, opinioni, per trattenere e orientare l’attenzione di chi naviga in Rete.
Pensiamo ai tanti «consigli» che riceviamo quando siamo online. Le informazioni ci sono suggerite sulla base di calcoli algoritmici che traducono in dati il nostro comportamento, per orientarlo. È qualcosa di totalmente nuovo, che cambia il nostro modo di rapportarci alla realtà. Bisogna esserne consapevoli, e coltivare sempre la capacità di agire altrimenti.
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