Puccini, il sublime
La gelida manina di Mimì nella soffitta bohémienne mette i brividi anche nei teatri di Sydney o di Abu Dhabi. E l’iconico «Vincerò» del principe Calaf, nella notte degli enigmi di Turandot, rappresenta una sfida per ogni tenore. Insieme a Giuseppe Verdi e Wolfgang Amadeus Mozart, Giacomo Puccini è il compositore lirico più eseguito al mondo: tre delle sue creazioni, La Bohème, Tosca e Madama Butterfly, compaiono tra le dieci opere più rappresentate in ogni continente, e tanto più in questo 2024 che segna il centenario della scomparsa del grande musicista toscano. Originario di Lucca (dove era nato nel 1858), Puccini morì infatti il 29 novembre 1924 a Bruxelles, dove era stato ricoverato per curare un tumore. La sua Turandot, a cui stava lavorando, rimase incompiuta. Giacomo Puccini è compositore amato dal pubblico tanto quanto – soprattutto in passato – la critica musicale lo ha spesso snobbato: «Troppo a lungo è stato denigrato da rivali meno dotati o bistrattato da critici forse puristi, intenti (invano) a contrastarne la popolarità – sottolinea il musicologo Michele Girardi nel suo saggio ripubblicato da Marsilio –. La sua, in realtà, fu produzione operistica che subito s’impose nel repertorio internazionale e tuttora ne è perno inossidabile».
Puccini e «puccinismo»
Giacomo Puccini si formò negli anni dominati dalla personalità artistica di Giuseppe Verdi (che attorno alla metà dell’Ottocento già aveva composto tutti i suoi capolavori, tra cui Macbeth, Rigoletto e La Traviata, e nel 1871 debuttò con Aida) ma anche dalla potenza della musica di Richard Wagner, mentre si stava affermando la tradizione post-romantica del verismo. A Lucca i Puccini erano maestri di cappella e organisti fin dal ’700. Nel 1880 il giovane Giacomo si trasferì a Milano per studiare al Conservatorio, anche grazie a una borsa di studio della regina Margherita: ebbe tra i suoi insegnanti pure Amilcare Ponchielli, e strinse amicizia con Pietro Mascagni. La sua prima opera, Le Villi (1884) riscosse un buon successo, l’editore Ricordi si interessò di lui e gli commissionò un nuovo lavoro, Edgar, che nel 1889 fu presentato alla Scala. Fu l’avvio della carriera del compositore, che si consolidò poi nel 1893 con Manon Lescaut, l’opera con cui iniziò la collaborazione con i librettisti Luigi Illica e Giuseppe Giacosa.
Puccini quindi trovò il suo «nido» a Torre del Lago, sul lago di Massaciuccoli presso Viareggio, dove nacquero le sue opere più famose, da La Bohème del 1896 a Tosca del 1900, poi Madama Butterfly del 1904. E nacque anche il suo «mito». Come sottolinea Virgilio Bernardoni nel volume pubblicato da Il Saggiatore, Puccini è divenuto «il maggiore autore italiano di melodrammi del dopo-Verdi». «Ma il suo enorme successo è stato anche la sua maledizione – osserva Alberto Mattioli, tra i maggiori esperti italiani d’opera –. Puccini è stato spesso considerato troppo “facile”, e magari consolatorio o addirittura ricattatorio dal punto di vista delle emozioni, e per questo è stato talora sottovalutato o frainteso. Tanto più oggi occorre distinguere Puccini dal “puccinismo” e dalle banalizzazioni sentimentali». Puccini «è stato sempre sepolto sotto una montagna di equivoci», ha aggiunto il critico Elvio Giudici su «Classic Voice», ed è divenuto quasi l’emblema «di tutto un bric-à-brac piccolo borghese»: insomma, dietro a quelli che sono stati etichettati come «buoni sentimenti», c’era invece «una realtà quanto mai affine all’impietosa società delle prose di Dickens, Maupassant e Zola».
Musicalmente Puccini è stato uno straordinario compositore dallo sguardo europeo: «Spesso lo si considera l’ultimo grande operista italiano – sottolinea Mattioli –. Puccini è stato invece l’uomo che ha traghettato l’opera italiana nel futuro. Un esempio? Il tema di Scarpia fa di Tosca la prima opera espressionista della storia, ben in anticipo rispetto all’Elektra di Strauss, vent’anni prima del Wozzeck». «Puccini fu realmente “oltralpico” – ha scritto Corrado Augias –. Ebbe orecchio per Wagner ma anche per la musica come si scriveva in Francia». Come annota anche il direttore d’orchestra Marco Guidarini nel suo libro Operasofia (Il Melangolo editore), Puccini, «attentissimo nei riguardi delle innovazioni artistiche che maturano agli inizi del nuovo secolo, si differenzia dal sostanziale naturalismo dei suoi contemporanei italiani proprio per la capacità di stilizzazione della realtà attraverso la musica».
Anche il maestro Riccardo Chailly, direttore musicale del Teatro alla Scala di Milano, in un’intervista al supplemento «La Lettura» del «Corriere della Sera», ha rimarcato la capacità di Puccini di «allontanarsi dal mondo culturale in cui viveva. Era un atto di coraggio e di interesse per poter superare le barriere del conosciuto e del consueto». Non era una posa, un atteggiamento. Puccini davvero aveva curiosità per quanto poteva oltrepassare i confini e parlare di un mondo nuovo: «Per esempio, con Madama Butterfly non conosceva l’ambientazione, ma studiò i canti popolari giapponesi, plasmando un idioma musicale nuovo, completamente diverso dai precedenti», ha detto il maestro Antonio Pappano, già direttore musicale dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. «E per La fanciulla del West studiò la musica americana», prosegue Chailly.
Mieloso e antifemminista?
C’è chi ha rimproverato a Puccini di essere mieloso e sdolcinato e lo ha tacciato di essere perfino un antifemminista per aver presentato sempre eroine deboli: la galleria femminile delle sue opere ci ha consegnato figure meravigliose, ma (su dodici opere) nove donne muoiono. In realtà «tutte queste donne sono di altissimo profilo caratteriale, di personalità, intelligenti, affascinanti, femminili e sensuali nell’accezione più alta e nobile», ha detto Riccardo Chailly. «Muoiono per generosità, per amore, per spirito di sacrificio, non soccombono e scelgono il loro destino – è convinto anche Corrado Augias –. Floria Tosca, Liù, Cio-Cio-San si dimostrano padrone della loro morte, oltre che della vita».
Ecco allora la bellezza di riscoprire Puccini anche sotto questa nuova luce. Ancor più quest’anno, le stagioni teatrali e i festival «fioriscono» di sue opere: sono più di mille le produzioni censite dal sito Operabase, e nel mondo vanno in scena almeno 77 Butterfly e 63 Bohème. Tra gli appuntamenti dell’estate, ricordiamo il 70° Festival Puccini nella cornice del Gran Teatro all’aperto di Torre del Lago, con la direzione artistica di Pier Luigi Pizzi: tra il 12 luglio e il 24 agosto verranno messi in scena (in ordine cronologico) cinque titoli del compositore, da Le Villi a Tosca e Turandot, con un evento speciale il 31 agosto e il 7 settembre, a 120 anni dalla prima rappresentazione di Madama Butterfly. Turandot e La Bohème illuminano anche i cartelloni di due grandi palcoscenici dell’estate, l’Arena di Verona e lo Sferisterio di Macerata.
Sarà un omaggio a Puccini anche il grande concerto che il teatro La Fenice organizzerà sabato 13 luglio (in diretta su Rai5) in piazza San Marco a Venezia, con il soprano Selene Zanetti, il tenore Francesco Demuro e la direzione di Alexander Malofeev. E in ottobre il teatro Regio di Torino darà vita a una sorta di «festival Manon», abbinando l’opera di Puccini a quelle omonime di Massenet e Auber. Della musica di Puccini non si potrà mai esser sazi, «perché – ha confidato il tenore Andrea Bocelli, pucciniano doc – tutto quello che è uscito dalla sua penna è sublime». E noi italiani dovremo sempre essergliene grati.
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