Rivoluzione Phygital
Il suo simbolo più famoso e reclamizzato è rappresentato da quegli (per ora) ingombranti visori VR che fanno somigliare chi li inforca a un discesista. Non stiamo parlando di SuperG né di Olimpiadi invernali, ma di Metaverso: l’ultima frontiera digitale capace di inventare e costruire quei mondi virtuali tridimensionali in cui possiamo trovare di tutto: dai meeting in auditorium immensi agli showroom di abbigliamento, dall’assemblaggio di un’auto su misura all’intervento di microchirurgia da remoto e, ancora, la costruzione di una casa chic nel quartiere ideale di una città utopica oppure aule digitali per l’e-learning.
Non sembrano, per ora, esserci limiti all’immaginazione e allo spazio disponibile. E siamo solo all’inizio di una rivoluzione che si preannuncia complessa e imprevedibile. Un po’ come agli albori di internet, al netto di qualche fastidio collaterale come nausea e vertigini da abuso di visore, e – secondo alcuni – di un’impennata della «solitudine tecnologica» di cui notiamo segni e disagi sempre più evidenti soprattutto tra i giovani smartphone-dipendenti. È stato coniato anche l’ennesimo immancabile inglesismo per questa nuova era: Phygital, crasi di physical e digital, per definire ogni esperienza che combina la contaminazione tra realtà fisica e digitale.
Il Metaverso è frutto della convergenza di infrastrutture tecnologiche, basate su connessioni internet, per la cosiddetta realtà aumentata e la realtà virtuale che consentono agli utenti di interagire con persone, ambienti, oggetti digitali. L’esperienza avviene in forma immersiva, cioè come in un videogioco, ma con la percezione visiva, uditiva e tattile di essere al suo interno mentre l’azione in divenire è determinata da noi e dalle persone o dalle cose che fanno parte di quella realtà virtuale grazie a un visore dotato di cuffie e controller. Così si possono acquistare perfino immobili con le criptovalute, arredarli con opere d’arte e foto tutte digitali come gli Nft (Non-fungible token) che si basano sulla tecnologia blockchain. Sono Microsoft, Meta (Facebook) ed Apple i principali protagonisti di questa rivoluzione tecnologica, ma vanno ricordate anche Roblox, Spatial e Decentraland.
A livello internazionale, molte startup grandi e piccole si sono gettate a capofitto in questa nuova avventura per rendere abitabili e fruibili questi mondi da parte di semplici utenti privati così come di aziende. L’intelligenza artificiale ha e avrà un ruolo di primo piano nello sviluppo di contesti digitali all’interno dei quali avverranno le interazioni proprie del Metaverso. Se gli analisti prevedono un significativo incremento occupazionale per ingegneri di reti, architetti, programmatori, virtual reality designer, esperti di cybersecurity e di blockchain, crypto artist, ecc., d’altro canto i maggiori timori arrivano paradossalmente dagli addetti ai lavori che paventano la minacciosa concorrenza dell’intelligenza artificiale proprio nel momento in cui la rivoluzione del Metaverso sembra aprire la strada a incommensurabili scenari lavorativi.
Anche l’Italia è della partita. «I progetti sviluppati da aziende di casa nostra nei mondi virtuali sono 60 su 445 individuati complessivamente a livello internazionale», ci informa Marta Valsecchi, ricercatrice del Politecnico di Milano e direttrice degli Osservatori Mobile B2c Strategy (Business to consumer) e Omnichannel Customer Experience (www.osservatori.net). «Molte di queste aziende sono grandi società internazionali, e la maggior parte appartiene ai settori retail e intrattenimento. Al momento i mondi virtuali sono principalmente statunitensi, ma non mancano soggetti italiani come Techstar, Coderblock e The Nemesis che hanno sviluppato veri e propri mondi virtuali per ospitare utenti e aziende. Ci troviamo di fronte a un ambito di mercato con un potenziale di sviluppo per startup e società italiane».
Cinque anni per consolidarsi
Secondo l’agenzia Bloomberg, entro il 2024 il Metaverso genererà un business da 800 miliardi di dollari contro i 46 miliardi del 2020. Tuttavia «siamo ancora in una fase iniziale del Metaverso», osserva l’architetto Leonardo Sollami che con altri due colleghi, Marco Angrisani e Marco Grattarola, ha fondato a Milano Sesamo Lab (https://sesamolab.com). Con la collaborazione di Ginevra Turco progettano e danno vita a spazi digitali. Per una banca di Riad, in Arabia Saudita, hanno creato un auditorium virtuale tridimensionale dove avvengono conferenze e incontri. I partecipanti possono accedere con un avatar tradizionale (un’identità virtuale alternativa) oppure con un avatar che ha un tondino in corrispondenza della testa in cui appare il volto della persona reale inquadrata dalla sua webcam.
Ciononostante, più in generale, prosegue Sollami «è la tecnologia infrastrutturale a non essere pronta. Parlando per metafore, è come se ci fossero molti internet, come se ogni università avesse una sua rete internet, e non fossero connesse tra loro. Questo rende l’infrastruttura una sorta di arcipelago dove ancora non ci sono le barche per spostarsi da un’isola all’altra. Non si capisce quali siano le isole più importanti e quelle meno. Ci sono terre che emergono, alcune affondano, altre restano, altre si uniscono. Dopodiché c’è da colmare il gap tecnologico dell’uso del visore. Io lo utilizzo per progettare, ma non è ancora comodo. È pesante, ingombrante, anche se la tecnologia sta facendo importanti passi avanti con visori molto più leggeri che useranno lo smartphone come motore per processare i dati».
Insomma le lacune da colmare non mancano. Valsecchi rileva che «l’interoperabilità è oggi il grande assente e l’elemento che consentirà di passare da tanti mondi virtuali, separati tra loro, come accade oggi, a un sistema di spazi virtuali interconnessi in cui gli utenti, tramite i propri avatar, potranno muoversi liberamente da un mondo all’altro. Al momento manca una standardizzazione dell’interoperabilità. Ma occorre lavorare anche sul miglioramento della user experience nei mondi virtuali; sulla creazione di esperienze che forniscano un reale valore aggiunto all’utente, in modo da incentivare il popolamento delle piattaforme; su una regolamentazione chiara del Metaverso in termini soprattutto di raccolta dati e privacy. I tempi per vedere una piena realizzazione del Metaverso sono ancora incerti e probabilmente non inferiori a cinque anni».
Ciò non significa che non si possano già cogliere diverse opportunità create dai mondi virtuali. Come ha fatto Guido Geminiani, regista, fondatore e amministratore di Impersive (www.impersive.com) che «produce esperienze immersive in grado di coinvolgere emotivamente il fruitore rendendo particolarmente efficace il visore. Un’esperienza che può essere condivisa. Partendo da una serie di domande che da regista mi ponevo, si è sviluppato il linguaggio di Impersive. E si riferisce a soluzioni hardware, a partire dai sistemi di stabilizzazione per le riprese a 360 gradi-stereoscopiche-dinamiche che permettono di girare in situazioni di grande instabilità. Ad esempio mentre si sta guidando un’auto, mentre si pedala in bicicletta o quando ci si trova a bordo di una barca a vela, nei panni di uno skipper. Un altro punto fondamentale che abbiamo sviluppato è la possibilità di arrivare vicinissimi al protagonista della storia o al prodotto che viene presentato. In questo modo l’utente ha la sensazione di interagire realmente con ciò che o con chi si trova di fronte. Siamo riusciti a rendere reale la storia che viene raccontata, mettendo l’utente in prima persona e facendogli provare un intenso senso di presenza, in grado di coinvolgere interamente l’apparato percettivo, e stimolando fortemente le emozioni».
Giubileo virtuale
Le aspettative sono notevoli. Il Metaverso potrebbe offrire esperienze altamente immersive e coinvolgenti in grado di generare valore per imprese e clienti di numerosi settori. «Facciamo alcuni esempi – suggerisce Valsecchi –: in ambito turistico si potrà visitare virtualmente un luogo, prima ancora di andarci. Nel settore retail si potrà creare un nuovo canale di contatto con i clienti e di engagement, in particolare con le generazioni più giovani. Nel mondo entertainment ci sarà la possibilità di ampliare l’audience che partecipa agli eventi. Non mancheranno opportunità anche per le realtà B2b (Business to business): l’introduzione di nuovi modelli per la formazione e il recruiting delle risorse umane, la creazione di spazi destinati alla collaborazione virtuale dei propri dipendenti, la possibilità di collaborare e cooperare da remoto, ad esempio per la progettazione dei prodotti». Non solo. «In ambito religioso pensiamo al Giubileo come esperienza virtuale, o alle chiese», suggerisce Sollami. «Luoghi di culto e aggregazione che potrebbero diventare anche virtuali a favore di chi non può accedere o parteciparvi perché, ad esempio, è anziano e non può muoversi, o dovrebbe arrivare da molto lontano e non ha le possibilità economiche per farlo».
Valsecchi è ottimista. «L’intelligenza artificiale potrà supportare la creazione di avatar e ambienti come paesaggi, edifici e infrastrutture, i più realistici possibili. Inoltre, come per altri ambiti, permetterà di automatizzare i processi di sviluppo del software, riducendo i tempi di realizzazione di nuove applicazioni. Per esempio con la creazione di assistenti virtuali che gestiranno in modo altrettanto virtuale le attività più standard e basiche di un customer care, e rimandando a operatori umani le problematiche più complesse. Infine, il collegamento tra intelligenza artificiale e tecnologie di blockchain consentirà di creare, controllare e proteggere le transazioni nel Metaverso».
Geminiani invita alla prudenza: «I dati ci dicono che il Metaverso, per quanto riguarda l’utilizzo consumer su piattaforme come Decentraland, ha bisogno ancora di diversi anni prima di diventare un’adozione stabile e di largo utilizzo. Per quanto riguarda, invece, piattaforme di formazione come Engage, il Metaverso si è rivelato uno strumento molto efficace in grado di migliorare e semplificare, soprattutto in alcuni settori, l’apprendimento e la risposta immediata dell’utente. Noi stessi abbiamo sviluppato un progetto per l’Onu (Organizzazione delle nazioni unite) e per il Wfp (Programma alimentare mondiale, agenzia dell’Onu) in cui abbiamo ricostruito in Engage la simulazione di un evento catastrofico, un terremoto, per coinvolgere in un gioco di ruolo i responsabili della logistica. Per quanto riguarda la formazione aziendale, il nostro case study più importante di formazione in realtà virtuale, sulla piattaforma Engage, è quello per una grande azienda per la quale abbiamo prodotto un’esperienza con l’obiettivo di “umanizzare” il racconto dell’azienda stessa, incontrando il management e visitando i luoghi, potendo interagire con i prodotti. Sul versante consumer, invece, ciò che funziona maggiormente è la parte del gaming».
Che molto di questo lavoro sia frutto di genialità e intraprendenza lo conferma ancora una volta Geminiani: «Ci ho messo circa due anni per sviluppare i primi sistemi di produzione stereoscopica in soggettiva mentre realizzavo già produzioni commerciali. Non abbiamo mai cercato investitori. Continuiamo a produrre contenuti per brand e agenzie che vengono utilizzati per attività in negozi ed eventi, raccontando il made in Italy nel mondo, i valori aziendali e i processi produttivi, ma anche per presentare le aziende alle fiere, e i retroscena del mondo dello sport. Abbiamo 9 persone assunte a tempo indeterminato, e ci divertiamo a investire ogni anno in progetti sperimentali: dalle applicazioni medicali allo storytelling di fiction per contenuti dedicati all’utente finale, e nuove soluzioni di ripresa in modo tale da essere pronti a produrre anche storie, racconti e narrazioni direttamente per gli utenti e non solo per altre aziende».
Il Metaverso è sbarcato anche nel settore navale. All’ultimo Salone nautico di Venezia è stato presentato «ShowVerse», uno showroom virtuale realizzato da Lifields con Digital Mosaik (www.digitalmosaik.com). La nuova piattaforma web consente ai potenziali compratori di salire in modo virtuale a bordo di imbarcazioni, yacht, catamarani, barche a vela e altri mezzi di trasporto acqueo o marittimo, e di interagire con modelli 3D di altissima qualità, fruibili da qualsiasi dispositivo. E se dovesse scoppiare la bolla del Metaverso? «Noi stiamo lavorando alla creazione di showroom virtuali personalizzabili, all’interno dei quali possono esserci commessi virtuali che illustrano i prodotti. Si possono addirittura configurare automobili oppure visualizzarle in anticipo prima della loro produzione. Tuttavia noi siamo architetti tradizionali», ribadisce Sollami. «E comunque penso che il mercato del lavoro sia tutto in pericolo, minacciato non tanto dal Metaverso quanto piuttosto dall’intelligenza artificiale. Sono macchine che stanno imparando a una velocità straordinaria. E sono più brave di noi a fare tutto. Le professioni sono quasi tutte a rischio. Alcune in modo più importante e immediato: penso ai traduttori, ai doppiatori, ai creatori di contenuti».
Social al capolinea?
Di fronte alle sfide del Metaverso, che fine faranno i social, zeppi di foto, video e meme che dominano incontrastati il nostro tempo? Saranno inghiottiti dalla realtà virtuale o conosceranno una nuova stagione? Valsecchi ritiene che «la componente sociale sarà un aspetto cruciale dell’interazione nell’ambito del Metaverso. Anche le piattaforme social potranno evolversi da pagine web basate su contenuti multimediali (testi, video, immagini) a piattaforme tridimensionali dove sarà possibile interagire direttamente con la rappresentazione 3D degli utenti. Ovviamente staremo a vedere se i social media attuali saranno capaci di valorizzare al meglio le caratteristiche dei mondi virtuali facendo leva sulle grandi moli di utenti già fidelizzati, o se nuove piattaforme e servizi avranno la meglio».
I giovani sono i principali protagonisti di questa stagione, ma potrebbero esserne anche le prime vittime: da una parte i neet (di cui l’Italia detiene, purtroppo, il record europeo) e gli hikikomori ovvero quegli adolescenti o giovani adulti inattivi a scuola e sul lavoro, o che si rinchiudono in casa privandosi di ogni relazione sociale, spesso spendendo il loro tempo davanti a un computer, a una console per videogiochi o sui social. «Penso che ogni ragazzo che usa TikTok o Instagram si trovi sostanzialmente di fronte a una partita a scacchi, solo che il suo avversario non è un ragazzo della sua stessa età, ma una schiera di laureati che cercano, con tutti gli strumenti di marketing e di persuasione a loro disposizione, di farlo stare sullo smartphone il più possibile», lamenta Sollami. «Stanno comunque nascendo nuove sensibilità di educazione alla tecnologia».
Il tema merita una grande attenzione, soprattutto da parte delle istituzioni. Ne è convinta anche Valsecchi. «Per esempio attraverso la promozione di programmi educativi che sensibilizzino le persone sulle potenziali implicazioni dell’uso intensivo delle tecnologie digitali e, al contempo, incoraggiando le piattaforme all’adozione di un codice etico e di sistemi di monitoraggio». All’interno dei mondi virtuali stanno già nascendo iniziative volte a sostenere queste tematiche: è il caso di CSI-Regione Piemonte che ha sviluppato un progetto per fornire supporto psicologico ai ragazzi che hanno subito atti di bullismo o di cyberbullismo.
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