Tra grano e zizzania
«In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: ‘Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio’”». (Mt 13, 24-43)
Siamo dinanzi a una delle sette parabole presenti nel capitolo 13 del vangelo di Matteo, vangelo che verrà proclamato nel cuore di questa estate, domenica 23 luglio. C’è un campo, c’è un uomo che semina del buon seme e un nemico dell’uomo che semina zizzania. Ormai lo sappiamo, il campo siamo noi. Lo sappiamo anche dalla parabola del seme che cade in diversi tipi di terreno raccontata poco prima di questa. Noi siamo il campo e siamo chiamati a far sì che il nostro terreno sia sgombro da uccelli, sassi e rovi, affinché il seme possa crescere e portare frutto. Personalmente ho sempre interpretato, in quanto psicologo, la cura del terreno come il lavoro che siamo chiamati a compiere sulla nostra creaturalità. Quando nel mio studio accolgo individui o coppie, mi immagino sempre di essere un buon contadino che deve aiutare le persone a bonificare la loro umanità e penso che, anche questo, sia un modo per servire il Regno. Un buon lavoro psicologico al servizio della persona può aiutarla a uscire da teorie ingenue su di sé o sulla realtà, a superare blocchi traumatici, a riattivare nuovi significati sulla propria esistenza, e altro ancora. In tutto questo non c’è ancora il seme, ma stiamo preparando il terreno per poterlo accogliere.
Seminare è compito, invece, del Padre, perché il seme è la sua Parola. Poi, certamente, sappiamo che, come recita una preghiera del XIV secolo, «Cristo non ha più le mani, ha soltanto le nostre mani… Cristo non ha più voce, ha soltanto la nostra voce…», e quindi quel seme che lui pone nella nostra vita siamo noi chiamati a diffonderlo nel mondo. Però dobbiamo ricordarci che esso non è nostro: il buon seme è dell’Uomo della parabola, del proprietario del campo.
Quello che in questo racconto stupisce è che, pur essendo un buon terreno, quello del campo, non cade in esso solo il buon seme ma anche la zizzania, perché esiste e opera anche un nemico del padrone del campo. Perché la nostra creaturalità è – per quanto buono possa essere il nostro terreno – inevitabilmente grano e zizzania insieme. Siamo sempre una mescolanza, originale e unica, dell’una e dell’altra. Inoltre, zizzania e grano sono piante molto simili tra loro e, fino al momento del raccolto, è molto difficile distinguerle. Anche nella nostra vita la zizzania è spesso travestita da discorsi ragionevoli, da valori vissuti in modo intransigente, da un certo tipo di cristianesimo che si è dimenticato della misericordia, e che solo alla fine si potrà distinguere dal «grano».
Anche una coppia è sempre grano e zizzania insieme; nessuna relazione è priva di elementi infestanti né di elementi fruttuosi e nutrienti. Spesso anche noi, come i servi, vogliamo togliere via la zizzania: vogliamo estirpare la pigrizia di nostro marito, vogliamo estirpare il criticismo di nostra moglie, i suoi metodi genitoriali, il suo legame con la famiglia di origine e così via. Facendo così, però, non ci accorgiamo che rischiamo anche di rovinare il grano, cioè di sradicare anche ciò che di buono c’è nell’altro o nel nostro rapporto. Questo lo si vede anche nella relazione con i figli. Quando smettiamo di concentrarci sui loro limiti, sulle loro mancanze e ci prendiamo cura e valorizziamo le loro capacità, la loro bellezza, allora essi fioriscono, perché si sentono amati e visti nella loro parte migliore e il loro seme buono cresce e porta frutto. Anche tra marito e moglie succede lo stesso: se invece che sulla zizzania ci concentriamo sul far crescere il grano, la nostra relazione sboccia e noi abbiamo più voglia di vivere e di fare, ci sentiamo «visti» nel nostro bene. Quel campo fatto di grano e zizzania siamo noi, ma noi siamo anche i servi chiamati ad avere quella delicatezza e quella cura che custodiscono il bene piuttosto che combattere il male.
Non siamo i mietitori, invece: non spetta a noi sentenziare su che cosa sia zizzania e che cosa grano, né estirpare, legare in fasci e bruciare ciò che riteniamo male della nostra relazione di coppia o del nostro partner e nemmeno raccogliere il grano e riporlo nel granaio del Padre. A noi spetta solo di custodire il buono, di non rischiare di rovinarlo. Quella Parola del Padre che può raggiungere il nostro coniuge è una parola di bellezza che va protetta. La moglie verso il marito e il marito verso la moglie possono essere quei premurosi servi che permettono al seme buono del Padre di crescere e portare tutto il frutto possibile. John e Julie Gottman, terapeuti della coppia, hanno osservato che le coppie che stanno bene hanno una proporzione di interazioni positive/negative di 5 a 1, le coppie in crisi di 0,8 a 1. Come a dire: è il promuovere il bene che paga dividendi. Vi auguriamo che possiate essere fruttuosi protettori del bene presente nell’altro e nella relazione, affinché questa possa essere un’estate piena di rigogliosi campi di grano.
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