La piccola lotta di San Piero in Castello
San Piero in Castello, in lingua veneziana, ha smarrito la «t» di San Pietro. Ultimo sestiere della città lagunare verso oriente, questa è la «coda del pesce», la forma con la quale Venezia si è costruita. È il più popoloso tra i sestieri: oltre undicimila residenti a dar retta a variabili censimenti, frontiera di una resistenza allo spopolamento della città-isola. Ed è un caposaldo di chi si oppone tenacemente a un’economia solo iper-turistica.
Paolo, infermiere in pensione, ancora non espone lo striscione di stoffa in cui annuncia che San Piero e Sant’Anna sono salvi. Finora, in punti strategici del sestiere, sono appesi cartelli che cercano di dare coraggio e invitano a una «resistenza»: «Salviamo San Piero e Sant’Anna». Paolo aspetta la buona notizia, c’è un po’ di ottimismo adesso: si spera nel rinnovo dei contratti di locazione di chi qui vive.
Paolo è uno dei residenti, «da sempre», delle case ricavate negli spazi della vecchia caserma Sanguinetti dopo che venne dismessa. Non è luogo qualsiasi: qui fino al 1807 si trovava il patriarcato veneziano prima che Napoleone non ne ordinasse il trasferimento a San Marco. Qui attorno vi è Olivolo: la sola zona di Venezia in cui possono essere condotti scavi archeologici sulle origini della città. Qui vivono tuttora otto famiglie. Qui si trova un cantiere nautico, una delle pochissime attività produttive veneziane fuori dai confini del turismo.
Il sestiere di San Piero, per la sua «lontananza» dai principali itinerari turistici (San Marco, Rialto, Ponte dei Sospiri), ha un’anima popolare. È una frontiera di una possibile «altra» Venezia. È memoria: il padre di Paolo era un «battipalo», uno di quegli uomini che piantavano a mano, nel fondale di fango dei rii veneziani, le bricole e i palini, i pali ai quali possono attraccare le imbarcazioni. È presente e futuro: «Qui siamo una comunità viva» mi dice Donatella, un’altra abitante di San Piero.
Non è storia da poco. In «isola», come dicono i veneziani, gli abitati sono scesi, da un anno, sotto i 50 mila. Un numero pari ai turisti che ogni giorno, soprattutto in estate, scuotono calli e campi della città. Un gruppo francese, Artea (energie rinnovabili, immobiliare di pregio e «ospitalità di impresa»), ha puntato i suoi occhi su Firenze e Venezia: nel capoluogo toscano ha ottenuto una concessione per trasformare un’antica chiesa del centro fiorentino; a Venezia progettava di impossessarsi del vecchio edificio del patriarcato e della vicina chiesa di Sant’Anna, da anni abbandonata. Solo che qui vi erano ancora gli abitanti. Otto famiglie (alcune sono composte da persone anziane) avrebbero dovuto lasciare la loro casa (di proprietà del demanio). Al loro posto: co-living, co-working, co-housing e foresteria. Parole moderne e da decrittare per descrivere un grande affare immobiliare.
Adesso la cocciutaggine dei residenti di San Piero è a un passo dalla vittoria. È forte la voce che i contratti di locazione saranno, da parte del demanio, rinnovati. Paolo vorrebbe che fotografassi il nuovo striscione che dichiara questa piccola/grande vittoria di otto famiglie (e di un intero sestiere, dei cittadini che hanno cura della loro città). Questa volta sono io che, per scaramanzia, non lo faccio, non lo fotografo. Ma scrivo che questa storia mi ricorda che piccoli uomini e donne possono battersi contro i potenti. Rassicuro Paolo e Donatella: tornerò per fotografare l’annuncio: «San Piero e Sant’Anna salvi».
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