Sostenibilità integrale
L’estate è stata annunciata da uno dei tanti fenomeni di ribellione della natura a quell’«antropocentrismo dispotico» che papa Francesco ha denunciato nella Laudato si’: l’inondazione in Romagna, con le sue conseguenze immediate (tante persone hanno perso case, raccolti, animali; qualcuno ha perso la vita), ma anche con quelle a lungo termine.
Si fa un grande parlare di «sostenibilità», ma questa parola è ambivalente. Ormai tutti sono diventati sostenibili: basta vedere le pubblicità e le dichiarazioni delle imprese. Il rischio è quello di ridurre la sostenibilità a una efficientizzazione dei processi già esistenti, grazie al digitale e all’intelligenza artificiale: il che si risolve di fatto in un taglio dei costi e dei posti di lavoro. Non è questa la sostenibilità di cui c’è bisogno, in un mondo in cui l’essere umano sta distruggendo le condizioni stesse della propria sopravvivenza. Serve un cambiamento profondo, che non è nella direzione della decrescita, ma di una crescita diversa.
Sostenere vuol dire reggere, proteggere, conservare, nutrire. Il modello di crescita che abbiamo perseguito negli ultimi decenni non è più sostenibile perché ha prodotto troppi scarti, ambientali e umani. È sostenibile un modo di abitare il mondo dove la crescita non sia solo tecnoeconomica ma integrale: dove le persone siano nutrite (e non di solo pane), dove ci si prenda cura delle fragilità. Serve educazione per questo tipo di crescita e per una sostenibilità che o è integrale o non è.
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