Scacco… a Dio
Qualcuno ha scritto che una grande partita a scacchi è un po’ come una sinfonia, dove il giocatore, al pari di un bravo direttore d’orchestra, sa «manovrare» tutti i pezzi, nessuno escluso, come se fossero un unico strumento che suona all’unisono pur nella diversità dei ruoli. Forse sta proprio in questa definizione, più che in altre, l’assonanza che da secoli ha reso il gioco degli scacchi uno dei più amati anche nel mondo ecclesiale, da sempre chiamato a muoversi in comunione, senza lasciar indietro nessuno, pur nella diversità dei carismi. Sono moltissimi, infatti, i sacerdoti, religiosi e religiose, gli alti prelati fino a più di qualche Pontefice che nel corso dei secoli si sono appassionati al gioco degli scacchi.
A dirla proprio tutta, però, le cose non sono state sempre «rose e fiori». Anzi. «Una delle prime testimonianze che ci parla del gioco degli scacchi nel nostro Paese – racconta infatti Adolivio Capece, maestro scacchista, giornalista e scrittore, per anni firma di rubriche di settore su quotidiani come “Il Giornale”, “La Voce”, “La Stampa” e “L’Unità” e, fino al 2012, direttore de “L’Italia Scacchistica” – è una lettera che san Pier Damiani (il santo monaco allora cardinale di Ostia, che Dante ha posto nel suo Paradiso) scrisse a papa Alessandro II nel 1061 e nella quale si esprimeva con forza contro il gioco, chiedendo (e ottenendo) addirittura che esso venisse messo al bando. Il motivo? Il fatto che il vescovo di Firenze, intento a giocare una partita, si fosse, pare, scordato di dire Messa, lasciando i fedeli in attesa in chiesa per ore». D’altra parte, spiega ancora Capece, non era una novità che all’epoca gli scacchi assorbissero in maniera eccessiva il clero e infatti esattamente nello stesso periodo in Spagna era stata emanata una legge per i chierici, che impediva loro di «perdere tempo» con tale gioco.
«Però – puntualizza il nostro esperto – esso “sopravvisse”, nonostante la condanna della Chiesa e la reazione dei nobili, soprattutto, indirettamente, grazie alle Crociate, in particolare la prima: essa vide infatti protagonisti molti uomini di bassa condizione e di condotta non proprio irreprensibile, dediti quindi al saccheggio, che nelle tende arabe trovarono, tra gli oggetti più preziosi, proprio i pezzi degli scacchi (o le scacchiere stesse), realizzati in avorio e decorati con gemme preziose, come agata, ambra, oro, argento, ametista, turchese, topazio. Così i pezzi vennero riportati in patria come bottino di guerra mentre le scacchiere vennero donate alle chiese come offerta votiva (ce ne sono anche sui muri della chiesa di Sant’Ambrogio a Milano) o usate come vessillo dando origine alle insegne cavalleresche».
Ma l’avversione ecclesiale al gioco comunque non si placò: «Nel 1128, infatti, san Bernardo di Chiaravalle proibì gli scacchi nelle regole per l’ordine dei Templari da lui emanate – racconta ancora Capece –. E nel 1212, in occasione del Concilio plenario di Parigi, la Chiesa ribadì la proibizione al gioco. Nel 1254, poi, fu il re di Francia, Luigi IX, il futuro san Luigi, a proibire gli scacchi. Anche se le malelingue sostengono che la sua ordinanza fu emessa dopo aver giocato (e perso) troppe partite con gli arabi, nei quattro anni trascorsi in prigionia in Egitto, a seguito della Crociata del 1248. Fatto sta che la sua decisione portò a un’ulteriore condanna “ufficiale” della Chiesa nel corso del Concilio Biterrense del 1255». Per fortuna la «scomunica» ecclesiale non colpì anche i libri sugli scacchi e così molti di essi, in genere preziosi codici manoscritti nei quali gli scacchi venivano utilizzati per dare insegnamenti morali, sono potuti giungere fino a noi.
La riabilitazione
Ma quando, allora, gli scacchi vennero riabilitati? «Furono tre le grandi figure che favorirono questo processo: Leone X, santa Teresa d’Avila e san Francesco di Sales – sottolinea Capece –. La prima inversione di tendenza si ebbe grazie a Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, salito al soglio pontificio nel 1513 con il nome di Leone X, il quale, grande appassionato di scacchi sin da giovane, non solo protesse il gioco ma ne favorì anche la diffusione tra il clero».
In realtà, fu anche il clima culturale del tempo a favorire la ripresa del gioco: l’umanesimo rinascimentale condusse infatti all’affermazione di un ideale di vita in cui «ciascuno potesse esprimere pienamente se stesso e vincere sulla fortuna grazie al proprio intelletto. Gli scacchi dunque, in questo periodo furono paragonati agli studia humanitatis e gli scacchisti agli artisti e letterati del tempo, capaci, con la loro maestria, di dare lustro alle corti dei vari signori», chiosa il giornalista.
Ma vi fu un’altra figura di spicco del cristianesimo che contribuì non poco alla riaffermazione del gioco: santa Teresa d’Avila, proclamata nel 1944 dal vescovo di Madrid patrona degli scacchisti. «Teresa – ci informa il Maestro Capece –, nel capitolo 16 della sua opera più nota, Cammino di perfezione (1564-1566), scrisse infatti: “[…] Dicono che qualche volta gli scacchi sono permessi; a maggior ragione sarà permesso a noi di usarne ora la tattica. Anzi, se l’usassimo spesso non tarderemmo a fare scacco matto al Re divino […]. A scacchi la guerra più accanita il re deve subirla dalla regina, benché vi concorrano da parte loro anche gli altri pezzi. Orbene non vi è regina che più obblighi alla resa il Re del cielo quanto l’umiltà […]. Se uno impiega ogni giorno un certo tratto di tempo per pensare ai suoi peccati, subito lo si chiama gran contemplativo e in lui si vogliono subito vedere le grandi virtù dei veri contemplativi; egli poi le vorrebbe anche sorpassare, ma si inganna dal principio, non sapendo dispor bene il suo gioco; pensa che la sola conoscenza dei pezzi gli basti per fare scacco matto, ma ciò è impossibile, poiché il Re di cui parliamo non si arrende se non a coloro che si danno del tutto a Lui”. Direi che una riflessione di questo tipo non poteva che riaprire la strada a questo gioco, che ricevette poi un ulteriore sigillo da san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, il quale lo riabilitò definitivamente, controbattendo nella sua Introduzione alla vita devota (1608) l’editto di Luigi e la condanna del Concilio».
Il resto è storia nota. Da quel momento, infatti, intere generazioni di sacerdoti, religiosi e religiose (anche se queste ultime pare prediligano la dama) si sono dedicati serenamente agli scacchi, al punto tale che, fino al 2018, in Italia si è disputata la Clericus chess, un torneo che vedeva contrapporsi (sempre amabilmente!) i migliori tra gli scacchisti in tonaca o talare. «Il primo campione del mondo (ufficioso) fu lo spagnolo Ruy Lopez, sacerdote della città di Segura – conclude Adolivio Capece – e inventore della famosa “Apertura Spagnola”. E poi ci furono i molti Pontefici appassionati di scacchi: oltre al già citato Leone X e a Clemente XII (entrambi definiti scacchisti da Ludwig Pastor nell’imponente opera Storia dei Papi dal 1305 al 1798), vi fu Leone XIII (Papa dal 1878 al 1903), autore della famosa enciclica Rerum Novarum. Gli “scacchi papali” sono però tornati prepotentemente alla ribalta con l’avvento al soglio pontificio di Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II. Albino Luciani era un buon giocatore che si dedicò agli scacchi soprattutto durante il periodo trascorso a Vittorio Veneto negli anni '60. Karol Wojtyla, invece, fu un vero appassionato, al punto da aver composto in gioventù una serie di “problemi” (quelle composizioni in cui il bianco muove e dà matto in 2 o 3 mosse) e da venire inserito tra le personalità che hanno reso onore al gioco nel Libro d’oro degli scacchi dalla Federazione Mondiale, nel giugno 1999».
Nel corso dei secoli molti altri furono i sacerdoti che diedero lustro al gioco. Uno per tutti: il controverso don Pietro Carrera, da Militello (CT), che nel 1600 creò un’Apertura, conosciuta come «Difesa Siciliana», di recente resa popolare dalla serie tv La regina degli scacchi. E, per restare in ambito televisivo, come non ricordare la fortunata fiction Don Matteo, nella quale il sacerdote (l’attore Terence Hill/Mario Girotti), in tutti gli episodi fa almeno una partita a scacchi con il maresciallo dei Carabinieri (Nino Frassica)? Che è come dire che il connubio sacerdote-scacchiera ha ormai superato la realtà, entrando a far parte dell’immaginario collettivo.
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