Donne tra mente e corpo
Capelli biondi, occhi azzurri, gambe lunghe, pancia piatta… In 35 anni Claudia non si era mai lamentata del proprio aspetto. Poi è arrivato il primo figlio. I seni e i glutei hanno iniziato a perdere tono, è comparsa la cellulite sulle cosce. Le braccia si sono fatte più flaccide. Tutto sotto lo sguardo inesorabile della bilancia che ogni mese segnalava l’ennesimo chilo di troppo. Molti digiuni e diete dopo, Claudia non ha ancora trovato un equilibrio col proprio corpo. Come del resto Elisa, 20 anni a maggio, che da due lotta contro l’anoressia. O come Giada, 52 anni, appena entrata in menopausa che, per riuscire a far pace con il suo naso aquilino e con le sue curve, sta valutando di sottoporsi a un doppio intervento di rinoplastica e liposuzione. Se state pensando «a me non capiterà mai», vi sbagliate. Claudia, Elisa e Giada non sono casi limite, ma donne come tante. Come quelle che lo scorso giugno hanno partecipato all’indagine Eurispes «Piacere piacersi – Il rapporto delle donne con il proprio corpo». Realizzata su un campione di 1.048 over 18 in tutto il territorio nazionale, la ricerca ha evidenziato che oltre un terzo delle intervistate (36,4%) riferisce un rapporto negativo col proprio corpo (per quanto le ultra 65enni lo valutino con maggiore consapevolezza rispetto alle giovani). Più in generale, la ricerca mostra che al 43% delle partecipanti non piace il proprio aspetto esteriore. Un bel problema perché, per il 49,6% del campione, sentirsi bella è importante prima di tutto nel rapporto con gli altri. Non a caso, poco meno della metà delle donne dedica oltre mezz’ora ogni giorno al proprio aspetto, una donna su 4 destina oltre 100 euro mensili alla cura della propria bellezza, e il 25,3% ammette di essersi sottoposta alla chirurgia estetica. Pratica, quest’ultima, che sembra trovare sempre più consensi tra le giovani, come ha rilevato un’indagine condotta da Yoodata per Polytech Italia, secondo cui più della metà delle intervistate tra i 15 e i 26 anni sarebbe favorevole alla chirurgia estetica.
Ma da che cosa nasce questo contrasto tra la donna e il proprio corpo? Siamo sicuri che si tratti di una nuova tendenza? «Che le donne dipendano moltissimo dallo sguardo altrui e che questo sguardo esterno sia perlopiù giudicante è un dato di fatto antico» risponde Graziella Priulla, già docente di sociologia all’Università di Catania. «Antica è, del resto, anche la convinzione che la donna viva con la corporeità un rapporto molto più intenso dell’uomo. Gli antichi filosofi dicevano che gli uomini sono tutto spirito, mentre le donne tutto corpo, in quanto deputate alla riproduzione. Questa dicotomia si è prolungata nei secoli, complice anche il fatto che la donna in passato era educata per essere scelta e non per scegliere. La grande vittoria della donna del ’900, grazie anche al femminismo, è stata quella di aver imparato anche a scegliere. Ma per fare ciò il corpo – o meglio la bellezza del corpo – è divenuto centrale».
E così, con l’avvento di modelli sempre più stereotipati, si è sviluppata un’industria gigantesca che lavora al servizio del cambiamento del corpo femminile. «Più le donne, guardando agli ideali di bellezza contemporanei, sono insoddisfatte di se stesse, più l’industria ci guadagna – continua Priulla –. Si stima che tutto l’indotto che gravita intorno al mondo femminile (dalla cosmetica alla moda fino alla chirurgia estetica) rappresenti la seconda industria mondiale in termini di profitto, dopo quella delle armi». Un bel business, non c’è che dire. Specie in una società opulenta e legata all’immagine come quella occidentale, in cui una delle più grandi paure è ingrassare e tra le massime aspirazioni c’è l’essere ammirate. «Anche io da giovane desideravo essere guardata e mi specchiavo nelle vetrine chiedendomi “Gli piacerò?” – spiega la sociologa, autrice di C’è differenza. Identità di genere e linguaggi (Franco Angeli) e La libertà difficile delle donne. Ragionando di corpi e di poteri (Settenove) –. Nonostante la mia fragilità (guardarsi con gli occhi degli altri è un segno di debolezza), non ho mai pensato di cambiare i connotati, in quanto mancavano gli strumenti adatti e le risorse. Oggi, invece, so di molte ragazze che chiedono ai genitori come regalo dei 18 anni o della laurea l’aumento del seno, una plastica al naso o alle palpebre, con risultati talvolta radicali e irreversibili».
Riprendendo Dacia Maraini in Un clandestino a bordo, «È l’idea della perfezione che tormenta, ferisce, guasta i rapporti che ogni donna ha con il proprio corpo». Un’idea che viene da lontano e che sarebbe troppo facile etichettare come esclusiva conseguenza della rivoluzione digitale. A veicolarla, «ancor prima del web, sono stati un po’ tutti i canali che hanno lasciato prevalere l’immagine sulla parola, in primis la televisione privata – spiega ancora Graziella Priulla –. Internet e i social network hanno solo messo a disposizione di tutti l’idea che la donna debba essere apprezzata in base a connotati standardizzati del corpo. Giovane, gambe lunghe, labbra carnose e zigomi sporgenti: il prototipo “velina” ha inciso tantissimo sull’immaginario collettivo degli uomini (nel desiderare donne così) e delle donne (nel voler assomigliare a quei modelli)».
A ogni epoca i suoi modelli, viene da dire. Eppure, al mutare dei canoni estetici, la donna, da sempre accostata alla bellezza – non a caso nella mitologia greca quella della bellezza era una dea –, resta imprigionata in un ideale mutabile. «Non dobbiamo invecchiare, non dobbiamo ingrassare, dobbiamo nascondere le parti di noi che non rispettano gli standard. L’idea comune di bellezza deriva da un “mito” che influenza le nostre vite e i nostri corpi, ponendoci sotto il peso di un giudizio, di una vergogna e di un’ansia costanti verso il nostro aspetto fisico» scrive Maura Gancitano in Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza (Einaudi). E la società di certo non aiuta… Secondo l’indagine di Eurispes, infatti, al 72,8% delle intervistate è capitato, nel corso dell’ultimo anno, di ricevere giudizi sulla propria corporatura. Per non parlare poi degli spot sessisti che usano il corpo della donna per vendere qualsiasi cosa.
Certo, di recente qualche passo in controtendenza è stato fatto. Pensiamo alle influencer che si filmano senza trucco per dimostrare che anche loro hanno difetti, alle pubblicità con modelle anziane, curvy, di colore o affette da vitiligine, e in definitiva all’avvento della body positivity (movimento sociale incentrato sulla lotta alla derisione del corpo, il cosiddetto body shaming), traghettata dai social. «Sono buoni segnali che però hanno bisogno di tempo per diffondersi e affermarsi» conclude Graziella Priulla. E in ogni caso, qualsiasi cambiamento deve passare per una netta presa di coscienza, «specie da parte dell’universo maschile e di chi svolge “mestieri mediatici” come giornalisti, pubblicitari, fotografi, registi». Perché «se non si riconosce il problema, come è possibile risolverlo?».
Sotto la superficie
Una volta appurato che il rapporto tra la donna e il suo corpo è una questione che riguarda tutta la società, resta da capire in che modo questo rapporto possa influire dal punto di vista psicologico su chi lo vive in prima persona ogni giorno. L’indagine Eurispes non è certo l’unica spia di un progressivo cortocircuito… «Come evidenziato da numerosi studi scientifici, negli ultimi decenni abbiamo assistito a un aumento dell’insoddisfazione corporea tra le donne – confermano Marta Ghisi e Silvia Cerea, rispettivamente professoressa ordinaria e ricercatrice di Psicologia clinica all’Università degli Studi di Padova –. Al giorno d’oggi l’insoddisfazione verso il proprio corpo è talmente comune da essere stata definita “normativa”, quindi normale. Ci sono, però, alcuni segnali che riguardano l’immagine corporea che non vanno sottovalutati, perché potrebbero evolvere in disturbi psicologici, come i disturbi dell’alimentazione e/o il disturbo di dismorfismo corporeo (preoccupazione eccessiva per uno o più presunti difetti o imperfezioni che si percepiscono nel proprio aspetto fisico, ma che in realtà non sono osservabili o appaiono agli altri in modo lieve). Se tale insoddisfazione diventa l’aspetto più rilevante nella vita della persona, può sfociare in comportamenti disfunzionali, come diete eccessivamente restrittive, esercizio fisico compulsivo e il sottoporsi a numerosi interventi di chirurgia plastica o medicina estetica».
Complici il giudizio altrui e i timori legati alle influenze socio-culturali, «più l’individuo soggetto a queste pressioni è giovane, più è influenzabile in termini di insoddisfazione corporea». Per questo motivo, aspettare non è una buona idea. «È importante agire a livello preventivo per ridurre la probabilità che la psicopatologia si presenti, o attraverso un trattamento psicoterapeutico strutturato, se già si è presentata – continuano le esperte –. Numerose evidenze scientifiche hanno dimostrato che diverse tecniche (come la psicoeducazione e la media literacy) sono efficaci nel migliorare il rapporto che le donne hanno col loro corpo. Ovviamente è importante rivolgersi a professioniste/i esperte/i in questo ambito».
E nel frattempo esistono piccoli accorgimenti da tenere a mente. «Può essere utile concentrarsi su quello che il proprio corpo è capace di fare, e apprezzarlo, invece di valutarlo esclusivamente sulla base dell’aspetto fisico – aggiungono Marta Ghisi e Silvia Cerea –. Ad esempio, il nostro corpo ci permette di comunicare con le altre persone, di svolgere attività che ci appassionano, di muoverci o gustare i cibi che ci piacciono. Molte delle sue capacità sono spesso al di fuori della nostra consapevolezza, quindi ci concentriamo raramente su di esse, ma sono molto importanti. Studi scientifici spiegano, inoltre, come può essere utile praticare attività che consentono di stabilire una connessione profonda col proprio corpo, come ad esempio lo yoga, e che aumentano la consapevolezza e l’apprezzamento delle sue funzionalità. Queste attività aiutano a concentrarsi sulle sensazioni fisiche interne, spostando il focus dall’esterno del corpo, l’aspetto fisico, all’interno, ovvero su ciò che proviamo». Certo, non è facile accantonare lo specchio e guardare oltre la superficie. Ma, come diceva già nel 1935 lo psicologo Paul Schilder, «l’immagine corporea è l’immagine e l’apparenza del corpo umano che ci formiamo nella mente e cioè il modo in cui il nostro corpo ci appare». Ça va sans dire, non c’è rosa senza spine, non c’è regola senza eccezione, non c’è corpo senza mente.
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